Maastricht compie 30 anni, oggi la sfida del nuovo Patto Tra paletti e crisi, la strada in salita dell'Unione monetaria



BRUXELLES - Avvicinò sempre di più i destini dei popoli del Vecchio Continente, sancendo al tempo stesso i rigidi paletti da rispettare per tenere in ordine i conti pubblici. E diede così all'Ue il volto di oggi. Celebre a tutti per aver gettato le basi della moneta unica e della cittadinanza europea, il Trattato di Maastricht giunge al suo trentesimo anniversario affrontando la sfida della riforma del Patto di stabilità e crescita. Un dossier da sempre al centro di feroci scontri tra i Paesi membri e ora vitale per il futuro economico della stessa Unione, segnata dalle ferite lasciate prima dalle crisi del debito sovrano e poi, negli ultimi tre anni, da uno stato d'emergenza permanente, passato dal Covid all'aggressione della Russia contro l'Ucraina, fino al sanguinoso conflitto fra Israele e Hamas. Firmato il 7 febbraio 1992 nella cittadina olandese di confine ed entrato in vigore allo scoccare della mezzanotte del 1° novembre 1993, nelle intenzioni dei dodici leader europei artefici dell'intesa - tra cui il presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti, il cancelliere tedesco Helmut Kohl e il presidente francese Francois Mitterand - il Trattato avrebbe dovuto rappresentare il primo passo verso un'Unione economica, monetaria e politica. Un auspicio nato nel solco dell'euforia innescata dalla caduta del muro di Berlino. Ma che ancora oggi fatica ad avverarsi, fiaccato da un'integrazione europea a più velocità, dal rifiuto spesso categorico di una progressiva cessione della sovranità nazionale, e dal ciclico soffiare dei venti dell'euroscetticismo. A dividere sul terreno economico sono da sempre i criteri omonimi fissati a Maastricht per entrare nella moneta unica: un rapporto deficit/Pil non superiore al 3% e un debito non oltre il 60%. Paletti mai del tutto rispettati, a partire dalla Germania, capofila dei rigoristi eppure la prima - insieme alla Francia - a chiedere nel 2003 una sospensione delle procedure d'infrazione previste dal Patto, dopo aver violato per due anni di fila la regola del disavanzo. Dal 2009 poi la drammatica crisi finanziaria cambiò la storia dell'Europa, con i programmi di salvataggio lacrime e sangue della Grecia e l'introduzione di nuove regole d'austerità (six-pack, Fiscal compact e two-pack), sostenute dai falchi del Nord, a rafforzare gli obblighi (come il famigerato taglio annuo di un ventesimo del debito oltre il 60%) e la vigilanza sulle politiche di bilancio. A dare nuova linfa alla nuova governance economica, finalità chiave nel mandato della Commissione europea targata Ursula von der Leyen, sono stati sul finire del 2021 il presidente francese Emmanuel Macron e l'ex premier italiano Mario Draghi: serve "più spazio di manovra" - il loro appello - per gli investimenti necessari a sostenere la crescita e le nuove generazioni davanti agli choc economici e geopolitici. I parametri di Maastricht, va detto, non si toccano. Ma il proposito è rendere i percorsi di rientro del debito più realistici, sostenibili e su misura in un contesto inedito nel quale diversi Paesi dell'Eurozona superano già la soglia del 100%. A quasi due anni da quelle parole, le trattative tra i governi sono ancora in stallo. Il dibattito risuona sempre simile a se stesso: da una parte i rigoristi, capeggiati da Berlino, che vorrebbero un target minimo annuale - uguale per tutti - di rientro del debito. Dall'altra le istanze delle colombe del Sud, che invocano flessibilità e chiedono lo scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit per le aree strategiche come la svolta green e la difesa. La clausola di salvaguardia che sospende il Patto, attivata nel 2020 per fronteggiare l'emergenza Covid, scadrà il 31 dicembre. Il futuro per ora non conosce nuove regole, solo quelle di un ritorno al passato. Uno scenario del tutto sgradito a Roma e ai suoi alleati. E, nel frattempo, anche il destino dell'Unione bancaria resta sospeso. In attesa della ratifica dell'Italia alla riforma del Mes e del suo paracadute ('backstop') per le crisi bancarie.













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