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«Himalaya, troppe agenzie turistiche che tagliano i costi su itinerari remoti»

Dopo le tragedie dei giorni scorsi, parla Agostino Da Polenza, figura di riferimento dell'alpinismo italiano e del soccorso in alta quota: «Ora si possono scalare vette tra 5.870 e 7.132 metri senza pagare le royalty governative, sono proliferati i piccoli operatori che propongono tariffe vantaggiose per esperienze in zone poco frequentate, ma spesso la sicurezza è a rischio»

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La recente decisione del dipartimento del turismo del Nepal di aprire altre montagne all'alpinismo, in zone remote dell'Himalaya, ha provocato un boom di agenzie specializzate nell'organizzare le spedizioni.

In molti casi si tratta di professionisti del settore, ma sono ancora troppe quelle "spregiudicate" che propongono esperienze in alta quota a cifre ridotte ma a scapito della sicurezza.

Lo denuncia Agostino Da Polenza, figura di riferimento dell'alpinismo italiano e del soccorso in alta quota, in merito alle tragedie avvenute nelle ultime ore in Nepal. Spiega: «Ci sono tante piccole agenzie diciamo 'a rischio'. Molti alpinisti 'esplorativi' si affidano a loro, spesso per risparmiare qualche centinaio di dollari. Queste agenzie garantiscono i servizi essenziali, l'accesso alle montagne e qualche portatore, scelgono zone meno frequentate della catena himalayana per offrire esperienze più autentiche, lontano dai classici tour intorno all'Everest o all'Annapurna. L'obiettivo è tagliare i costi. Ma quasi sempre tutto questo va a scapito della sicurezza».

Aggiunge ancora Da Polenza: «Pur di portare i clienti in cima e di non perdere il guadagno sono disposti a tutto, anche a rischiare la vita. Sia la loro sia quella degli alpinisti che accompagnano».

Dal 17 luglio in Nepal gli alpinisti possono scalare vette comprese tra 5.870 e 7.132 metri di quota senza pagare le royalty governative. Si tratta di 97 montagne, poco frequentate, ideali per un'esperienza "wild", che ora sono a disposizione degli appassionati dell'aria sottile.

L'economia del turismo nepalese si è subito adeguata alla novità: a Thamel, il quartiere turistico di Kathmandu, sono proliferate le agenzie che propongono nuovi itinerari a tariffe vantaggiose. Però non sempre possono contare su guide esperte.

«L'elemento economico/imprenditoriale nepalese si è esasperato», sottolinea Da Polenza. Oltre a montagne remote molti alpinisti scelgono anche periodi di minor afflusso come l'autunno.

«È una stagione - prosegue Da Polenza - in cui fenomeni meteo eccezionali avvengono con più facilità. In questo caso nell'area c'erano la coda del monsone, una depressione sul mar arabico e un ciclone sull'oceano indiano che hanno portato queste grosse precipitazioni, che peraltro erano previste. Quindici anni fa in questi giorni c'era stata una mega nevicata di due metri alla Piramide del Cnr sotto l'Everest, una parete della struttura era stata sfondata».

[nella foto qui sopra, il monte Panbari (6.887), l'area in cui sono morti sotto la neve Alessandro Caputo di Milano e Stefano Farronato di Bassano del Grappa; in alto - foto del 2016 di Michael Wandinger, licenza CC - la zona del campo base dello Yalung Ri che lunedì è stata travolta da una valanga che avrebbe provocato sette vittime, lassù c'erano anche due alpinisti abruzzesi, Paolo Cocco (il cui corpo è stato recuperato) e Marco Di Marcello (ancora disperso), e l'altoatesino Markus Kirchler, non ancora ritrovato]

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Marco Camandona, esperto alpinista valdostano con alle spalle decine di spedizioni himalayane (e la conquista di tutti i 14 Ottomila), ha lasciato il Nepal nei giorni scorsi: «Siamo partiti prima del maltempo, ormai le previsioni non sbagliano più».

Un altro noto alpinista valdostano, Hervé Barmasse, parla di «un anno insolito per il Nepal». Al quotidiano torinese La Stampa, Barmasse, guida alpina del Cervino, racconta: «Non lo dico soltanto io, ma Karl Gabel, il più noto dei meteorologi che da anni invia previsioni a tutte le spedizioni alpinistiche. Quando ero là sono morte alle quote più basse, fra i villaggi, sessanta persone per le alluvioni. L'insolito è proprio questa coda di monsone che ha investito il Nepal. Grandi piogge, fiumi che esondano e devastano, tanta neve alle alte quote».

Barmasse con i suoi compagni di cordata è salito da poco per una via nuova sulla parete Sud del Numbur Peak, a 6.958 metri. Salita complicata, tanto da giudicarla "estrema", e notte in parete a soli 58 metri dalla vetta, «la notte più difficile da quando scalo». 

L'alpinista sottolinea l'importanza di preparazione e prevenzione: «Il meteo è fondamentale soprattutto ad alta quota. Sapere le previsioni è ciò che fa la differenza per poter organizzare al meglio salita e discesa. Una volta, diciamo ai tempi di Reinhold Messner, per capirci, le previsioni erano assenti o comunque molto approssimative. Adesso sono, al contrario, molto precise, ma c'è sempre l'imprevisto» ovvero «i microfenomeni, cioè quanto accade in aree molto limitate, quindi non prevedibili. È successo a noi in quella notte a 6.900 metri». 

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