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Inchiesta Covid a Bergamo, Merler (Fbk) ai pm: «Con la zona rossa una settimana prima, avremmo avuto metà dei contagi»

Il ricercatore della Fondazione Kessler, allora consulente del ministero, fu sentito in procura a dicembre 2020



MILANO. «Se misure specifiche per i Comuni di Alzano e Nembro, tipo zona rossa di Codogno, fossero state adottate una settimana prima rispetto all'8 marzo 2020, mi sento di dire ragionevolmente che avremmo avuto la metà dei contagi». E' un passaggio del verbale, ora agli atti dell'inchiesta della Procura di Bergamo sul Covid in Val Seriana, del 7 dicembre 2020, di Stefano Merler, il ricercatore della Fondazione Kessler, ai tempi consulente del Ministero e autore di una prima proiezione sull'andamento del Coronavirus in Italia basato sui dati cinesi allora disponibile e 'secretata'. 

Nonostante l'impennata dei contagi tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo e lo scenario "catastrofico" acclarato, non fu istituita alcuna zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, per altro già pronti a 'isolarsi' per evitare di dover contare oltre 4 mila morti di Covid.

E non fu applicato il piano influenzale pandemico, pur risalente al 2006: mancanza che ha comportato una catena di ritardi e omissioni che avrebbero poi determinato la "diffusione incontrollata" del virus.

Una diffusione che fece salire alla ribalta l'ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano, epicentro delle pandemia nella bergamasca dove già, quasi in contemporanea con la scoperta di Paziente 1, erano stati registrati parecchi casi e anche vittime.

Sono questi in sostanza i tre grandi temi messi nero su bianco dalla Procura di Bergamo nell'avviso di chiusura dell'indagine sulla gestione della prima ondata del Covid nella zona più colpita d'Italia, come testimoniano i dati e le immagini delle lunghe colonne di camion dell'Esercito con sopra le bare di chi ha perso la vita in questa tragedia che, dicono gli inquirenti, avrebbe potuto essere meno pesante. Indagine in cui gli indagati sono 19, e tra questi l'ex premier Giuseppe Conte, l'ex ministro Roberto Speranza - per loro due è competente il Tribunale dei Ministri con sede a Brescia - il presidente della Lombardia Attilio Fontana, l'ex assessore del Welfare lombardo Giulio Gallera, e vari esponenti di rilievo del mondo della sanità italiana, come Claudio D'Amario ex dg della prevenzione del ministero, Agostino Miozzo coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico, Silvio Brusaferro, direttore dell'Istituto Superiore di Sanità, e Angelo Borrelli, ex capo della Protezione Civile.

Le accuse contestate a vario titolo, sono epidemia colposa aggravata, omicidio colposo, rifiuto d'atti d'ufficio e falsi. C'è stata "un'insufficiente valutazione di rischio", ha spiegato il Procuratore Antonio Chiappani, aggiungendo che "di fronte a migliaia di morti e alle consulenze che ci dicono che potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione".













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