Prestito contestato, non ci fu reato 

In archivio l’inchiesta sull’accordo tra Itas e Vhv. Esclusa anche la conoscenza dell’intesa da parte di Consoli


di Luca Petermaier


TRENTO. I controlli interni furono in effetti discutibili e migliorabili (cosa che è poi effettivamente avvenuta), ma non si ha la prova di un ingiusto profitto per le parti coinvolte.

Si chiude così - con una archiviazione disposta dal tribunale di Trento a fine anno - l’inchiesta avviata dalla procura della Repubblica di Trento sulla complessa questione del prestito sottoscritto nel 2016 tra Itas (allora guidata dal duo Di Benedetto-Grassi) e la società tedesca Vhv, accordo che ha portato nelle casse della Mutua trentina 12,5 milioni di euro.

L’inchiesta era stata aperta dalla Guardia di Finanza ipotizzando i reati di falso in bilancio, ostacolo all’attività di vigilanza e formazione fittizia di capitale e vedeva indagati gli allora vertici di Itas Giovanni Di Bendetto ed Ermanno Grassi da un lato e i due consiglieri d’amministrazione di Itas Peter Lütke-Bornefeld e Uwe Reuter, rappresentanti del colosso tedesco delle assicurazioni Vhv. Oggetto dell’inchiesta era l’accordo sottoscritto tra le due società e che prevedeva che il gruppo tedesco versasse nella casse dell’Itas un finanziamento di 12,5 milioni di euro che si andavano ad aggiungere ai 2 milioni e mezzo già versati nel 2012, quando Vhv entrò in Itas come socio sovventore. Come detto, siamo nel 2016 e a quei tempi l’Ivass (l’autorità di vigilanza sulle assicurazioni) aveva chiesto a Itas di aumentare la solvency, ovvero il capitale a garanzia dei premi.La compagnia trentina aveva emesso un bond da 60 milioni, ma poi si chiese aiuto ai soci tedeschi che effettivamente intervennero con il prestito di 12,5 milioni. Il punto è che il denaro venne concesso non a titolo di capitale di garanzia, cioè come soci sovventori, ma con la formula del cosiddetto “put and call”: il prestito sarebbe stato remunerato con un tasso del 2% l’anno garantendo al contempo ai tedeschi la possibilità di riavere i soldi a partire dal 2026. Differenza non da poco in termini di “peso” della solvency, che venne taciuta al consiglio di amministrazione.

Dopo mesi di indagini la Guardia di Finanza ha però escluso che l’occultamento al cda dell’esatto contenuto di quell’operazione abbia determinato un illecito arricchimento per le parti in causa. Lo stesso vale per Itas che - dopo aver avuto piena contezza dell’accaduto - ha escluso quel denaro dal conteggio per la solvency iscrivendo il prestito a passività.

L’esito dell’inchiesta riafferma nei fatti anche quanto sempre sostenuto dal vice presidente di Itas, Giuseppe Consoli, di non aver mai saputo nel dettaglio che cosa prevedesse l’accordo benché egli fosse presente alla firma dello stesso. «Una presenza puramente istituzionale» - ha sempre spiegato Consoli nei mesi scorsi che nella seduta del consiglio di amministrazione del 12 settembre del 2017 fu il primo a sollevare la questione della mancata comunicazione al consiglio. In quella circostanza - come evidenziano i verbali del cda acquisti dalla Finanza - il vice presidente parlò di mancanza di flusso informativo con l’organo amministrativo, denunciando che la documentazione tecnica riferita all’accordo con i tedeschi non era stata messa a disposizione del Comitato Esecutivo. Questo passaggio fu alla base dei successivi atti che portarono, di fatto, alla sfiducia del presidente Di Benedetto, alla sua sostituzione con lo stesso Consoli fino alle nuove elezioni, con l’attuale presidenza Lorenz.













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