Il Sait straccia il contratto integrativo 

L’azienda: «Più premi per la produttività e meno per le presenze». I sindacati: «È un ricatto nei confronti dei lavoratori»


di Ubaldo Cordellini


TRENTO. La notizia i lavoratori l’hanno avuta ieri direttamente con una lettera firmata a due mani dal presidente Renato Dalpalù e dal direttore Luca Picciarelli: il Sait mandato ieri ai sindacati la disdetta del contratto integrativo aziendale che, in soldoni, vale per i circa 480 dipendenti superstiti del Consorzio circa 3 mila euro all’anno, tra contingenza e premio di risultato.

Il contratto non sarà più in vigore a partire dall’1 gennaio 2019. L’azienda, però, ha lasciato aperta la strada al dialogo sostenendo di essere pronta a discutere un nuovo contratto integrativo però con nuovi criteri più basati sulla produttività che sulle presenze in azienda. Per i sindacati si tratta di «un vero e proprio ricatto che mette i lavoratori con le spalle al muro», tuona Roland Caramelle della Filcams Cgil.

Anche Lamberto Avanzo della Fisascat Cisl attacca l’azienda: «Siamo esterrefatti da una modalità operativa che non tiene per nulla in considerazione il confronto e la dialettica ma che utilizza il pugno di ferro come unica strada di soluzione dei problemi». Anche Vassilios Bassios della Uiltucs azzanna: «Ancora una volta la cooperazione sorprende negativamente cancellando con un colpo di spugna gli accordi che riguardano i punti vendita. Avremmo voluto affrontare le eventuali problematiche con più trasparenza e senza ricatti».

Sia Picciarelli che Dalpalù respingono al mittente le accuse. Il presidente cerca di spiegare: «In quel contratto ci sono istituti che risalgono al 1945, andava svecchiato».

Il direttore aggiunge: «Molte voci dell’integrativo dopo la procedura che ha portato alla riduzione del personale non esistono neanche più. Noi vogliamo puntare più sulla produttività e meno sulla presenza in azienda. Per questo abbiamo mandato la disdetta. Da qui a fine anno c’è tutto il tempo per contrattare un nuovo integrativo che abbia lo stesso valore di quello precedente, ma che si basi su criteri nuovi che incentivino la produttività».

Nella lettera ai lavoratori, direttore e presidente rivendicano di aver ottenuto buoni risultati di bilancio nel 2017 e aggiungono che nessun costo è rimasto indenne dall’azione di razionalizzazione e poi aggiungono: «L’azienda non può e non deve fermarsi, deve mantenere il coraggio dimostrato per essere più agile nella competizione e rapida nell’adattarsi al cambiamento».

Il contratto è scaduto a fine 2016 l’azienda intende rivederne l’impianto radicalmente:«E’ un accordo che fonda alcuni elementi su indicatori e obiettivi che cambieranno nelle prossime settimane. Riteniamo che questo percorso contrattuale vada riscritto. Non rinnegato, non abbandonato, bensì rivisto nella sua interezza e adattato agli obiettivi futuri». Poi la rassicurazione finale: «L’Azienda non vuole assolutamente ridurre la componente aziendale della retribuzione dei nostri colleghi».

Nel comunicato poi sono più espliciti: «Si possono sacrificare i livelli occupazionali, dare un giro di vite alla produttività, ridurre i costi di fornitura, dei trasporti, delle banche, e poi tenere in vita un contratto integrativo aziendale che ignori tutto ciò, incorporando inerzialmente gli istituti del passato? Si può, da una parte, spronare e, dall’altra, accondiscendere ad una comoda routine, con istituti come il «premio di presenza»? La risposta del Consiglio di amministrazione del Sait è evidentemente «no». Per questo ha deciso di disdettare il contratto integrativo aziendale».

Per i sindacati, però, l’obiettivo vero è quello di tagliare un’altra volta il costo del lavoro: «Siamo di fronte alla contraddizione di un gruppo dirigente che punta alla riduzione del costo del lavoro con l’applicazione del solo contratto nazionale come sola via per risollevare una cooperativa che ha moralmente toccato il fondo mantenendo il bilancio in attivo di milioni di euro», dice Avanzo. Per Caramelle il Sait «è alla disperata ricerca di risorse per evitare che le Famiglie cooperative vadano verso altri consorzi e per questo cerca di risparmiare sul costo del lavoro, facendo pagare ai lavoratori gli errori della classe dirigente».













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