Giulio de Vescovi, enologo un po’ «rottamatore»

«Necessario fare rete tra i volti nuovi della Coldiretti e degli albergatori. I miei segreti? «Umiltà e passione. E poi niente diserbanti, solo rame e zolfo»


di Carlo Bridi


TRENTO. Nel nostro girare per il Trentino alla ricerca di giovani impegnati in agricoltura, può succedere di scoprire qualche perla di valore eccezionale. E’ il caso di questa settimana, a Mezzocorona abbiamo incontrato Giulio de Vescovi, diplomato enologo all’Istituto Agrario di San Michele e con laurea ottenuta a Firenze in enologia. Un ciclista mancato perché al quarto anno di San Michele, alle soglie del passaggio alle categorie professionistiche, si è reso conto che non era possibile seguire due strade: la scuola e il ciclismo così ha attaccato la bici al chiodo. Un giovane che, pur essendo alla sua decima vendemmia di Teroldego Rotaliano Doc, è in costante ricerca del miglioramento qualitativo del proprio vino.

Nulla è lasciato al caso, fin da studente di San Michele ha avuto modo di fare il primo stage presso l’azienda dei Frescobaldi di Montalcino, l’anno successivo in Germania e poi per tutto il periodo universitario ha avuto modo di entrare in contatto con i nomi dei più grandi vignaioli e visitare le realtà australiane, californiane, argentine tutti viaggi finalizzati alla miglior qualità del mio Teroldego, precisa.

Una scelta la sua, di puntare fin dall’inizio all’alta qualità in azienda come in cantina. Prova ne sia che sui sei ettari di vigneto in Rotaliana vendemmia solamente 400 quintali d’uva, con una produzione ad ettaro per i vigneti riservati al cru di 50 quintali e 90 per le linee classiche. Anche se precisa subito non sono i 10 quintali in più o in meno ad ettaro che determinano la qualità ma questa è frutto di una serie di fattori: «Vocazione del terreno, età delle viti, combinazione clone portainnesto, gestione agronomica grande attenzione ai vigneti vecchi ai quali però l’esperienza mi ha insegnato - afferma Giulio - di aggiungere anche dell’uva di vigneti più giovani».

Fondamentale un perfetto equilibrio del vigneto, dove fin dall’inizio ha bandito i diserbanti e dal 2003 anche i prodotti chimici di sintesi usando solo rame e zolfo.

Allora lei è un biologico?

No, ma io vivo questa scelta di una coltivazione nel rispetto della natura e dell’ambiente molto serenamente senza ideologismi.

In sintesi qual è l’approccio che ha con il tuo lavoro?

Un atteggiamento sempre di umiltà e semplicità, convinto che non si è mai finito d’imparare. Io ad esempio ogni anno applico sul mio vigneto e nella mia cantina delle novità che l’anno prima ho sperimentato su una piccola parte. Un’azienda la mia che vuole essere un libro aperto, sono a disposizione di altri giovani che intendono avviare un’attività che punti all’esaltazione della qualità, e sono convinto che in Rotaliana c’è posto per molti vignaioli.

E i rapporti con Elisabetta Foradori?

Lei è per noi una grande maestra, colei che ha saputo valorizzare prima e meglio degli altri il nostro gioiello, il Teroldego Rotaliano. Ma Giulio ha un approccio collaborativo con tutti essendo convinto dell’urgenza di fare rete fra giovani Coldiretti o con i giovani albergatori. Ma vede la necessità di creare una rete anche all’interno di quel mondo giovanile del quale fa parte: «In Rotaliana ci stiamo provando con i figli di alcune aziende storiche, vogliamo essere protagonisti, gli artefici del nostro destino senza delegarlo ad altri. In questo settore la Toscana che con l’arrivo di personaggi da tutto il mondo enoico ha creato una vitienologia d’eccellenza».













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