UOMINI E AMBIENTE»INTERVISTA A ELISA COZZARINI

Sui torrenti alpini incombono centinaia di progetti di centraline idroelettriche, anche dei comuni periferici in crisi finanziaria, mentre si profila uno scenario preoccupante, rivelato da primi...


di Maddalena Di Tolla Deflorian


Sui torrenti alpini incombono centinaia di progetti di centraline idroelettriche, anche dei comuni periferici in crisi finanziaria, mentre si profila uno scenario preoccupante, rivelato da primi studi, che mostra tracce significative di inquinamento da farmaci e prodotti chimici in alcuni corsi d’acqua analizzati, come già registrato nei ghiacciai. In tutte le Alpi, potremmo dire tranne che in Alto Adige dove sono pochi gli oppositori e il dibattito è sorprendentemente modesto, questo ha prodotto un animato lavoro di critica e sensibilizzazione di comitati e associazioni, in difesa della trasparenza e democraticità delle procedure autorizzatorie e soprattutto degli ecosistemi torrentizi. Negli ultimi mesi in Trentino ha ripreso vita con azioni decise il Comitato permanente per la difesa delle acque. La giornalista Elisa Cozzarini da tempo si occupa del tema dell’acqua. Ha pubblicato un libro dove raccoglie storie e voci dai territori in lotta. Ha presentato il suo “Radici liquide” (editore nuovadimensione) al Trento Film Festival. Il suo lavoro ha destato molto interesse tra gli addetti ai lavoro e non solo. L’abbiamo incontrata.

Lei hai viaggiato per un anno nell’arco alpino italiano, da ovest ad est, parlando con volontari, attivisti, esponenti di comitati in difesa dei torrenti a rischio di ulteriore sfruttamento con il minidroelettrico. Cosa rischiano gli ultimi torrenti alpini rimasti intonsi?

«Rischiano di essere alterati con centrali definite “piccole” o “mini”, ma che, confrontate con la grandezza dei corsi d’ acqua, hanno l’ impatto di una grande opera. L’ idroelettrico è definito “rinnovabile” ma gli ecosistemi fluviali d’ alta quota, gli ultimi di qualità elevata che restano, non sono ambienti rinnovabili. Una volta persi, non si rigenerano. Secondo i più recenti dati Ispra, nel nostro paese solo il 5% dei corsi d’ acqua è classificato di qualità elevata in base alla Direttiva Europea Acque. Con il piccolo idroelettrico potremmo perdere anche questi ultimi tesori di biodiversità, oltre a rischiare una procedura di infrazione comunitaria».

Perché c’ è ancora una corsa a sfruttare con il cosiddetto mini-idroelettrico i corsi d’ acqua?

«Non c’ è più spazio per costruire grandi impianti sulle Alpi e sugli Appennini: sono stati tutti realizzati nel secolo scorso. Voglio sottolineare l’ importanza dell’ idroelettrico, la fonte di energia su cui si è basato lo sviluppo del nostro paese, che tuttora dà un importante contributo alla produzione di energia pulita (il 39% dell’ energia da rinnovabili). La spinta a realizzare nuove centrali, necessariamente piccole, viene dagli incentivi pubblici. Non dipende dalla quantità di energia che si produce ma dal fatto che questa vale anche tre volte il prezzo di mercato. Come afferma lo stesso GSE (Gestore Servizi Energetici), la produzione da fonte idraulica resta invariata negli anni nonostante l’ aumento di impianti, tutti piccoli; in alcuni casi addirittura diminuisce, come tra il 2015 e il 2016 (ultimi dati disponibili)».

Il contributo all’ uso di energia rinnovabile sarebbe significativo se si dicesse sì, ipotizziamo, a quasi tutti i progetti presentati?

«Secondo i calcoli fatti dal Comitato Acqua Bene Comune di Belluno, se tutti i circa 2000 progetti presentati in Italia fossero realizzati, contribuirebbero per qualche millesimo al fabbisogno di energia. Basta leggere la Strategia Energetica Nazionale firmata a nel 2017 dai ministri di Sviluppo economico e Ambiente per capire che il piccolo idroelettrico non è strategico per la transizione energetica: non viene menzionato. Si parla invece della necessità di efficientamento del grande idroelettrico».

Come si organizzano comitati e attivisti? Cosa chiedono a decisori politici ed enti preposti a controlli e autorizzazioni?

«I comitati nascono attorno alla difesa di singoli fiumi o torrenti, contro un determinato progetto. Questo li porta ad approfondire la problematica, a interessarsi di quanto avviene in generale nelle vallate alpine e negli Appennini. L’ anno scorso è nata Free Rivers Italia, associazione nazionale che difende i torrenti ancora liberi. Chiedono di togliere gli incentivi economici al piccolo idroelettrico e il rispetto delle norme europee, nazionali, regionali a difesa dell’ ambiente, delle acque. A dicembre 2017, per evitare una procedura di infrazione per il mancato rispetto della Direttiva Acque del 2000, il Ministero Ambiente ha emanato i decreti direttoriali 29 e 30, che stabiliscono come valutare l’ impatto ambientale delle derivazioni, come calcolare il deflusso ecologico, che sostituirà il deflusso minimo vitale, per una migliore qualità fluviale. I comitati chiedono che queste regole si applichino subito, anche per i progetti in itinere».

Che situazione ha riscontrato in Trentino e in Alto Adige?

«In Trentino mi interessava in modo particolare il torrente Noce, perché qui l’ eventuale costruzione di centraline sarebbe incompatibile con l’ attività di kayak e rafting, che porta moltissimi visitatori in Val di Sole, crea economia. Ho visitato anche lo splendido torrente Arnò, che si vorrebbe derivare subito fuori dai confini del Parco Adamello Brenta: questo solleva il tema delle aree protette, della necessità di aree di rispetto, se non vogliamo far diventare i Parchi come musei, scollegati dall’ esterno. In Alto Adige ho voluto raccontare il diverso destino del rio Ram, rinaturalizzato in Svizzera, mentre nella parte italiana, con due referendum, la popolazione ha dato il via libera a un impianto impattante, pensando che sarebbe stato a vantaggio del pubblico, invece la beffa è che lo costruirà un privato».

Cosa ha imparato dai confronti e inseguendo le anse dei torrenti?

«Ho scoperto l’ importanza della cittadinanza attiva, della partecipazione, in luoghi colpiti da abbandono e spopolamento. Se non si levano voci contrarie, progetti anche impattanti passano in silenzio».













Scuola & Ricerca

In primo piano