Quando la terra scotta 

Letteratura. Oggi al Teatro parrocchiale di Mori, Alessandro Tamburini presenta il suo nuovo libro edito da Pequod Il volòume racconta l’incontro con Soma Makan Fofana, un giovane maliano giunto in Italia pochi anni fa


Fausta Slanzi


Trento. «“Quando la terra scotta”, il mio ultimo libro edito da Pequod, nasce dal mio incontro con Soma Makan Fofana, un giovane maliano (del Mali ndr) giunto in Italia come profugo alcuni anni fa. Nasce dalla sua volontà di ricostruire e raccontare la propria storia, e da due anni di lavoro insieme, attraverso decine di incontri e svariate rielaborazioni”, così Alessandro Tamburini che oggi giovedì 7 novembre alle 20.30 sarà a Mori al Teatro parrocchiale per la presentazione del suo libro nell’ambito di “Trovarsi altrove”.

Come ha conosciuto Soma Makan Fofana?

Ho conosciuto Soma nel periodo in cui gestiva a Trento “All’ombra del baobab”, un negozio di prodotti africani e nel contempo un centro propulsore di iniziative solidali per gli immigrati. Dal programma televisivo ‘Quante storie’ di Corrado Augias mi avevano chiesto di scegliere e raccontarne una inerente al luogo in cui vivevo. Un’amica mi ha suggerito la figura e la storia di Soma, di cui prima avevo solo sentito parlare. Sono andato a conoscerlo e fra noi è scattata quasi subito la sintonia che ci avrebbe poi permesso di realizzare il libro.

Lei è anche l'autore di "Quel che so di Adonai", (2010) sempre per Pequod, romanzo anticipatore di temi ora di grande attualità, un caso? O una particolare sensibilità di scrittore?

Il mio romanzo “Quel che so di Adonai” è stato un nesso decisivo. Il libro narra la drammatica vicenda di un profugo che ha molte analogie con quella di Soma, ma attraverso un lavoro di fiction, mentre ‘Quando la terra scotta’ racconta una storia vera. Con un lavoro di invenzione, sebbene molto documentato, avevo creato qualcosa che in seguito avrei ritrovato su un piano di assoluta realtà. “Quel che so di Adonai” aveva però a sua volta un precedente, e cioè il romanzo “L’onore delle armi” (Bompiani, 1997), scritto a seguito di un viaggio in Eritrea e legato alla Guerra d’Africa del 1935-36. In quel viaggio ho messo a fuoco per la prima volta la drammatiche condizioni di uno Stato africano post-coloniale, e perciò anche la realtà che in seguito e a tutt’oggi ha spinto tanti giovani a lasciare le insostenibili condizioni di vita della loro terra d’origine per cercare di raggiungere le nostre coste Devo poi aggiungere che proprio leggendo “Quel che so di Adona”, che gli avevo regalato, Soma si è convinto che io potessi essere la persona adatta per scrivere insieme il libro.

Fino a pochissimo tempo fa lei insegnava nelle scuole trentine: come sono i ragazzi di oggi, così problematici come vengono narrati?

È un discorso troppo complesso per poter essere riassunto in poche righe. Alla scuola ho dato e dalla scuola ho avuto molto. Coi ragazzi sono stato bene perché, a dispetto di usi e abusi di Rete e social, molti di loro conservano e manifestano una freschezza e un’autenticità che poi sempre di più scarseggiano in età adulta. A questo proposito, in “Quando la terra scotta” Soma racconta anche le esperienze vissute da bambino a scuola, che era une delle sue massime aspirazioni, con pagine che sarebbero di grande insegnamento per i nostri studenti di oggi.

Come ha allenato i suoi ex studenti a leggere?

Ho cercato di infrangere quel muro di diffidenza che molti ragazzi manifestano nei confronti della parola scritta, almeno nella forma del libro, che richiede un certo grado di impegno al quale sono poco abituati. Mi sono servito di quelli che mi piace chiamare “libri grimaldello”, testi cioè che sappiano agganciare il lettore, ad esempio in forza di un suo interesse per un dato argomento. Ricordo ancora una studentessa che rifiutava la lettura. La sua grande passione erano i cavalli. Le proposi ‘Cavalli selvaggi’ di Cormac McCarty, e quel romanzo la appassionò tanto da trasformarla in una assidua lettrice.

La scrittura è una grande costante della sua vita, con "L’ uomo al muro. Fenoglio e la guerra nei ventritrè giorni della città di Alba”- Italic Pequod, ha raggiunto un livello di ricerca e di analisi molto alto: quale tipo di scrittura preferisce, il romanzo o il saggio?

Da quando avevo vent’anni ho dedicato alla scrittura tempo ed energie, fino a farla diventare uno delle mie principali forme di rapporto con l’esistenza. Ho scritto romanzi e racconti, sceneggiature, testi radiofonici e anche dei saggi, come appunto quello su Fenoglio, che considero un caposaldo della nostra letteratura novecentesca. Il terreno che prediligo è quello della narrazione, che in qualche modo è presente in tutte le forme di scrittura.













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