«Così vi spiegherò il mondo selvatico durante il lockdown» 

Scienza e ambiente. A coordinare un team internazionale Francesca Cagnacci della Fem «Esaminiamo tutti i dati già disponibili a livello mondiale per capire il prima, dopo e durante»  L’obiettivo è quello di capire meglio i fattori di condizionamento e limitazione del mondo animale


maddalena di tolla deflorian


TRENTO. Vi siete chiesti se la nostra parziale assenza dalla scena del mondo (che qualcuno chiama Antropausa), durante il lockdown, abbia avuto conseguenze sul modo di usare lo spazio degli animali? La scienza dice che è probabile che sia davvero successo. Le notizie rimbalzate sui social di movimento strani insomma, al netto di alcune bufale vere e proprie, non erano soltanto singoli fatti. Adesso arriva pure un portentoso studio su scala mondiale, che ci dirà, numeri alla mano, cosa sia realmente accaduto.

Francesca Cagnacci, zoologa e ricercatrice alla Fem, coordinatrice scientifica del network di ricerca Euromammals, ha avuto un’idea: mettere in rete gli studiosi che in tutto il mondo hanno già i dati sugli spostamenti degli animali, di varie specie (circa160), e farne un mega studio. Nasce così un inedito team internazionale di scienziati che analizzerà come gli animali abbiano risposto alla variazione dell’attività umana seguita alla pandemia da Covid-19. Racconta questo importante lavoro un articolo pubblicato da poco sulla prestigiosa rivista Nature Ecology & Evolution (https://www.nature.com/articles/s41559-020-1237-z.). La tragedia del Covid rende ancora più importante, sotto il profilo etico, l’impegno di Cagnacci e colleghi di non sprecare la risorsa della conoscenza. «È particolarmente rilevante ottimizzare i dati già in nostro possesso, fare rete, valorizzare le scoperte di diversi team di ricerca» ci ha detto, quando l’abbiamo raggiunta al telefono, mentre viaggiava verso il Parco nazionale dello Stelvio. Cagnacci, coautrice dell’articolo, lavora infatti da sempre in un’ottica di collaborazione internazionale e su scala alpina e regionale. I ricercatori hanno dunque fondato l’iniziativa “Covid-19 Bio-Logging”, un consorzio internazionale che studierà movimento, comportamenti e livelli di stress degli animali prima, durante, dopo il lockdown, utilizzando unità elettroniche dotate di sensori (“bio-loggers”) apposte a un campione di individui delle specie studiate. Il team di scienziati integrerà i dati raccolti da una grande varietà di specie (oltre 160), tra cui pesci, uccelli e mammiferi, per ricostruire l’effetto del lockdown a livello globale. Abbiamo chiesto a Cagnacci da cosa parte questa iniziativa. «C’era un momento all’inizio della mia carriera in cui tentavi di studiare l’ecologia base dell’animale e quindi ti guardavi bene dal mettere i collari agli animali in ambienti antropizzati. Ora questo problema non si pone: di fatto qualsiasi ambiente è fortemente antropico, anche indirettamente, in maniera prevalente. Oggi verifichiamo il comportamento degli animali sotto questa spinta data dalla nostra presenza, dal nostro modo di occupare lo spazio e di usarlo. Abbiamo già fatto molti studi di tipo correlativo e abbiamo notato una variazione nei comportamenti dei selvatici, associandola alla variazione nell’impatto antropico generale (infrastrutture, presenza, attività) e più diretto, come l’ uso contemporaneo dello spazio. Da questi studi, compiuti in modo sempre più quantitativo negli anni, nasce nella testa di qualsiasi ecologo della fauna questa idea».

Avevate già identificato fattori oggettivamente studiati che indicassero che il nostro impatto comporta un diverso uso dello spazio negli animali?

Si, ci sono diversi studi, anche nostri della FEM. Il lockdown ha rappresentato però qualcosa di diverso, perché potevamo permetterci un confronto quantitativo diretto fra presenza e assenza dell’ attività umana, in quello che si chiama Before After Controll Impact Design. In questo modo riusciamo a identificare i fattori di condizionamento del comportamento animale, dovuti alla presenza diretta dell’uomo nel momento in cui accade e non solo quelli legati alla presenza delle infrastrutture, slegate dal loro uso.

Certamente molte specie tendono a sfuggire dai pericoli e quindi ci chiediamo: quanto l’uomo è visto come pericolo?

A suo parere, cosa impareremo?

Se noi capiamo quali sono i limiti reciproci, potremo cercare una modalità di coesistenza migliore per entrambi (umani e non umani-ndr), lasciando agli animali un accesso maggiore alla qualità degli habitat, mantenendo per noi d’altro canto una biodiversità vitale e potremo evitare situazioni estreme, che costringono gli animali in aree troppo piccole, che creano un conflitto nell’ambito della comunità animale stessa. Noi come specie siamo certamente un competitore: possiamo capire a che livello stiamo spingendo questa competizione, che rischia di diventare non recuperabile. Capiremo meglio come grandi specie accedano alle risorse o quanto incida la nostra presenza sulla notturnalità di specie che potrebbero anche essere diurne fisiologicamente.













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