Violenza alle donne, 5.000 casi l’anno e 50 persone accolte

In Trentino le strutture d’accoglienza (anche per figli) sono 7. Ma il lavoro più difficile è culturale: molte tornano dai mariti


di Sandra Mattei


TRENTO. La vera emergenza, quando si affronta il problema della violenza sulle donne è quella che riguarda le vittime stesse: nella maggior parte dei casi infatti, sono loro a riaccogliere il violento tra le pareti domestiche.

Ecco che allora, anche se dei grandi passi sono stati fatti in Italia, ed in Trentino in particolare, da un punto di vista legislativo e della rete di strutture d'accoglienza, molto lavoro c'è ancora da fare sul fronte della prevenzione e del cambiamento di mentalità, non solo per quanto riguarda la maschile. Lo ha detto a chiare lettere Daniela Roner, tra le coordinatrici delle politiche sociali della Provincia, nel corso di un convegno sulla violenza nei contronti delle donne sabato a Rovereto: «Oltre all'emergenza, bisogna rivedere il ruolo dei consultori, perché sono strutture che possono raggiungere una più larga fascia di donne, quelle che fanno più fatica ad avvicinarsi ai servizi sociali, perché vivono in ambienti magari benpensanti e vogliono difendere l'apparenza».

È un bene che in Trentino, come riferito sul nostro giornale domenica, sia stato applicato per la prima volta in due casi (uno a Gardolo, protagonista il marito che ha minacciato la moglie con un coltello, l’altro a Rovereto, dove sempre il marito ha colpito con uno schiaffo la moglie davanti ai figli) il decreto sulla «violenza di genere», che prevede l’allontanamento del violento dalla casa familiare. Ma, la legge da sola non basta (sempre che il parlamento riesca a trasformarlo in legge, visto che dovrebbe farlo entro la metà di ottobre).

Riflessioni che hanno ben presenti gli operatori attivi nel campo delle strutture d'accoglienza per le vittime della violenza. Come ha affermato Giuseppe Piamarta, direttore della Cooperativa Punto d'Approdo di Rovereto, i dati sono preoccupanti: «Sono 506 le denunce per violenza alle forze dell'ordine in provincia nel 2011. Ma questo dato è solo la punta dell'iceberg, perché si calcola che solo un 10% delle donne denunci i maltrattamenti, quindi i casi raggiungono probabilmente la cifra di 5 mila». Il Trentino, come spiega Luca Comper, dirigente del Servizio politiche sociali della Provincia, «la legge del 2010 ha già anticipato gli interventi di supporto alle vittime della violenza e di prevenzione. Perché, a fianco delle misure di polizia, bisogna impegnarsi a prevenire». In base a questa legge, è stata aperta in primavera la casa rifugio provinciale, che ha dai 26 ai 28 posti letto, sempre pieni. Questa struttura si aggiunge alle già esistenti in provincia, gestite da vari operatori. Sono la cooperativa Punto d’Approdo (che a tre case d’accoglienza) e il Progetto Aurora appartamenti in autonomia (con tre strutture) a Rovereto, la Casa della giovane, la Padre Angelo a Trento, il Cirs e gli appartamenti dell’Alfid. Da citare inoltre il Centro antiviolenza e l’Alfid, che nel 2011 hanno svolto 235 interventi (189 Centro, 46 Alfid). Commenta ancora Piamarta: «Sono 50 i nuovi casi di accoglienza ogni anno. Ma, chi usufruisce della case di accoglienza non è necessariamente chi denuncia le violenze. Si sa che la denuncia implica una serie di interventi che possono essere senza ritorno, anche rispetto all’affido ai figli, per questo molte donne preferiscono tornare con l’uomo violento per difficoltà economiche, ma anche per mantenere l’apparenze di una famiglia unita, retaggio di una cultura arretrata».

Il decreto legge interviene per ribaltare l’approccio, allontanando l’uomo violento, piuttosto che trasferendo la donna in una situazione protetta. Ma è chiaro, come conclude Piamarta, che sono necessari «interventi più complessi, a livello di cultura e di educazione degli individui».













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