Villa Salvotti, slalom tra gli avi

L’architetto Giovanni ci guida nella sua casa-museo


Silvia Conotter


Seminascosta dagli imponenti alberi del giardino che la circonda, Villa Salvotti è un mondo a sé stante, che profuma di storia e di serenità. Oltre cinque ettari di terreno preservati dall’incalzare del mondo moderno e custoditi gelosamente dall’architetto Giovanni Salvotti, 76 anni, discendente della famiglia nobile che all’inizio dell’800 si trasferì da Vienna sulla collina ad ovest della città. Una villa eclettica, dove si mescolano vari stili, raramente aperta al pubblico per l’innata tendenza alla riservatezza del suo proprietario. Che non nasconde però il doppio filo che lo lega al suo luogo natale: «Qui vedo riflesso il mio volto, la mia anima, la mia identità», afferma. Fino a cinque anni fa Salvotti condivideva gli ampi spazi della villa con la madre, scrittrice, una «figura dannunziana» con un forte amore per l’estetica, morta nel 2002 a 101 anni. «A dir la verità - racconta Salvotti - non trascorrevamo molto tempo assieme. E’ da lei che ho ereditato il mio carattere schivo. Ricordo però con affetto la sua personalità forte e le poesie che declamava passeggiando».

L’architetto vive attualmente nell’appartamento al primo piano, arredato con uno stile sobrio e colori caldi. Privo di divisorie anche se movimentato da qualche colonna, permette di godere dalla camera da letto di una vista «aulica» del salone. Su un comò alcune fotografie di famiglia e di qualche amore di gioventù. Al piano terra si susseguono invece sale impreziosite da mobili antichi, quadri, candelabri e suppellettili di un passato solo lontanamente immaginabile. Vicino all’ingresso un trono episcopale e di forte impatto le porte dipinte da Luigi Rattini. Suggestiva la biblioteca, con centinaia di libri, soprattutto di diritto e storia: le passioni di famiglia. «Mia madre si divertiva a cambiare la disposizione dell’arredamento - ricorda Salvotti - per me invece ha raggiunto una certa stabilità. Vengo qui tutte le mattine, apro le finestre e mi soffermo a contemplare questi luoghi». Un posto così potrebbe essere scambiato per un museo, se non fosse per l’inspiegabile vita che pulsa ancora tra le pareti. Molti i ritratti di famiglia, come quello del nonno materno, il podestà Paolo Oss Mazzurana, e delle sorelle ritratte da Luigi Bonazza. Un busto ricorda Antonio Salvotti, magistrato austroungarico noto per aver firmato la condanna di Silvio Pellico allo Spielberg, ma rivalutato dalla storiografia moderna.

«Il mio antenato cercava solo di difendere l’Impero, ormai in decadenza - spiega l’architetto - ci si dimentica che convertì la pena di morte in detenzione e dopo sette anni lo fece uscire». Danneggiata gravemente durante la II guerra mondiale, la villa fu poi riportata all’antico splendore. Nella vicina cappella, ricostruita alla fine degli anni Cinquanta da Salvotti, troviamo una croce longobarda e candide statue alate sotto un soffitto stellato. L’architetto si occupa personalmente dei giardini, circondati da quattro chilometri di mura, e ornati da maestosi alberi centenari. Caratteristiche le arcate formate da cipressi con le punte tagliate, un’idea della madre. Si sentirà mai solo, in una tenuta così grande? «No - risponde deciso - mi sento protetto da questo luogo che evoca le figure del passato, dalla”gloria” che qui si respira, da quest’aria impregnata di storia, filosofia e religione».













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