L'INTERVISTA

Valentina Righi: «Dall’8 marzo al telefono per fermare il virus» 

Ogni giorno centinaia di chiamate alla centrale Covid per ricostruire i contatti dei pazienti «Ho 27 anni e vedo cosa fanno i miei coetanei, vorrei dire loro di pensare anche agli altri»


Andrea Selva


TRENTO. «Ho 27 anni e sui social network vedo i miei coetanei che vivono la vita di sempre, come se nulla fosse. A loro vorrei dire: pensate a voi, pensate a chi vi sta vicino e pensate anche a noi operatori sanitari che dal marzo scorso affrontiamo questa situazione con grandi sacrifici». Ecco l’appello di Valentina Righi, giovane assistente sanitaria della centrale Covid di Trento, dove le telefonate si susseguono, incessanti, per dieci ore al giorno, festivi compresi, nel tentativo di ricostruire i contatti delle persone positivi per interrompere la trasmissione del virus.

Quante telefonate effettuate ogni giorno?

Nelle giornate tranquille sentiamo in media una ventina di persone, ma se il numero di contagi aumenta (e di conseguenza aumentano i contatti che dobbiamo verificare e allertare) il numero di telefonate può anche raddoppiare.

Quali sono le difficoltà di questo lavoro?

Dobbiamo programmare l’isolamento delle persone positive ed entrare nelle loro vite per capire chi può essere venuto a contatto con il virus. Abbiamo casi di marito e moglie che vivono in parti diverse della casa (in perfetto isolamento) e quindi dobbiamo chiamare entrambi per spiegare loro la situazione. E poi ci sono casi di persone che non vogliono rivelare con chi hanno avuto rapporti. E poi magari sono gli stessi contatti che si “autodenunciano” chiamandoci per chiedere cosa devono fare.

Quale è lo stato d’animo di queste persone?

Ci sono quelli molto impauriti che hanno bisogno di essere tranquillizzati, ma ci capitano anche casi di aggressività.

Da parte di chi?

Di chi non vuole restare chiuso in casa, perché si sente bene e dice che deve tornare al più presto al lavoro. E poi c’è molta pressione sui tamponi, anche se in calo rispetto alla primavera scorsa quando la capacità dell’Azienda sanitaria di garantire questi esami era inferiore: tutti vorrebbero il tampone subito, nella speranza di poter tornare alla vita normale il più presto possibile. Quando le persone non hanno particolari sintomi, la domanda più frequente è: quanto dovrò stare in isolamento?

Dovete far fronte anche a casi di emergenza?

No, quelle situazioni vengono indirizzate ai numeri di emergenza. Ma ci capita comunque di avere a che fare con persone provate e spaventate, penso a una donna che ha la madre anziana che sta male. Situazioni che poi vengono comunque gestite dai servizi sanitari territoriali, in particolare dai medici di base.

Le persone in isolamento hanno un filo diretto con il singolo operatore della centrale Covid?

Per quanto possibile cerchiamo di garantire una certa continuità, perché tra le persone si stabilisce un rapporto di fiducia. Ma con i turni questo non sempre è possibile. Le nostre linee sono spesso occupate (l’Azienda sanitaria sta potenziando le infrastrutture, ndr) ma i pazienti possono sempre mandarci una mail a cui noi poi rispondiamo.

Lei dall’8 marzo scorso passa dieci ore al giorno al telefono, ma in una situazione normale quale sarebbe il suo lavoro?

Sono una delle poche assistenti sanitarie del Trentino: una figura molto rara e che attualmente non rischia certo di restare senza lavoro. Prima del lockdown mi occupavo delle vaccinazioni, ma anche l’attività che facciamo adesso alla centrale Covid fa parte della mia professione.

Le è capitato di avere a che fare con persone che si sono contagiate in seguito a comportamenti scorretti? Che cosa avrebbe voluto dire loro?

Molti ragazzi superano questa malattia senza gravi conseguenze, anche senza sintomi, ma non è così per tutti: c’è gente che dopo aver passato la malattia cambia atteggiamento. Dicono che se avessero saputo quello che avrebbero passato avrebbero avuto comportamenti diversi. Io vorrei dire di superare l’egoismo e di pensare agli altri: le persone che ci stanno accanto, le nostre famiglie, di seguire le regole pensando (oltre che a sé stessi) anche alla salute degli altri.













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