«Urbanistica insostenibile e asservita alla politica»

L’architetto Toffolon attacca: «Classe dirigente impreparata e tecnici timorosi di esporsi. Magra consolazione che non si facciano certe opere solo per la crisi»


di Luca Marognoli


TRENTO. Urbanistica asservita alla politica. Una politica miope e impreparata, che decide senza avere gli strumenti per farlo. É radicale la critica che l’architetto e urbanista Beppo Toffolon rivolge alla classe dirigente: «Magra consolazione che le opere non si facciano perché sono finiti i soldi. Significa non avere capito gli errori e rischiare di ripeterli».

Progetti fino a qualche anno fa cardini dello sviluppo urbanistico, oggi sembrano destinati ad essere rivisti se non eliminati, come l'interramento di via Brennero. É solo un problema economico o di scelte sbagliate, fatte anni fa quando si ragionava in termini di gigantismo delle opere pubbliche?

Alcune scelte andavano riviste indipendentemente dalla disponibilità finanziaria. Mi riferisco a progetti che non avevano una logica di sostenibilità come Metroland, o a quello del polo giudiziario: la previsione di un cortile con vasca artificiale era veramente una cosa che stento a comprendere come una commissione esaminatrice, oltretutto presieduta dal presidente del tribunale, abbia potuto accettare. C'è un problema di capacità di gestione delle scelte progettuali, a partire dall'organizzazione di un bando di concorso, dalla formazione di una giuria fino alle motivazioni finali delle scelte. Non siamo attrezzati e gli esempi non mancano.

Come lo spiega?

Un po’ con la mancanza di competenza, un po’ con il fatto che le competenze - e il reclutamento del personale tecnico pubblico - sono state sacrificate a criteri di fedeltà politica. Metroland è un progetto che qualsiasi tecnico della mobilità giudica insostenibile, dopo tre pagine: gliel’hanno spiegato in tutte le salse ai politici. Ma anziché prendere in considerazione i pareri che essi stessi avevano richiesto vanno avanti imperterriti. Si fermano solo perché hanno finito il carburante...

Altri esempi di progetti insostenibili?

Il “Pollicino” che fu commissionato a Gelmini: un'indagine dimostrò che la domanda di mobilità in centro era pari a zero ma l'assessore di turno andò per la sua strada. Stesso discorso per il solaio di copertura di piazza Fiera, voluto dal Comune con una portata inferiore al carico veicolare e con l'orientamento delle aperture invertito, in modo che non fosse percorribile dalle auto.

Dobbiamo quindi fare di necessità virtù, approfittando delle ristrettezze economiche per pensare uno sviluppo diverso?

É una ben magra consolazione: non sono certo contento che si rivedano certe scelte solo perché sono finiti i soldi. Anche perché significa che non abbiamo capito dove stava l'errore e siamo esposti al rischio di rifarlo.

Qual è la sua idea di futuro urbanistico per il Trentino?

La cosa preoccupante è che i tagli siano lineari: è ragionevole che si blocchi la Val, non opere che un senso potrebbero averlo. Il fatto che nessuno avrà più il coraggio di pensare all'attraversamento ferroviario della città è un guaio.

C’è un rischio paralisi?

Sì, c’è il rischio che invece di una spending review basata sull'analisi dell'opportunità delle opere, si faccia un congelamento indiscriminato di tutte le opere con il rischio di deprimere ulteriormente l'economia. Che invece avrebbe bisogno di una domanda pubblica.

Quale deve essere la filosofia urbanistica in Trentino?

La crisi non cambia nulla rispetto agli obiettivi che ci si dovrebbe porre: la priorità assoluta è di impedire un ulteriore spreco di territorio, che significa segare il ramo su cui siamo seduti, anche dal punto di vista economico. L'agricoltura è l'unico ambito che tira e ci accorgiamo che ci siamo mangiati in maniera sconsiderata una quantità spaventosa di terreno, causando anche l'estensione eccessiva delle infrastrutture, maggiori costi dei servizi e la minore appetibilità turistica.

Dobbiamo ragionare in termini di “decrescita felice”?

No, in termini di urbanizzazione intelligente: capire che la salvezza sia in termini ecologici che economici è la riscoperta della città, così come l'abbiamo costruita fino a 50-60 anni fa. Se possibile restituendo un po' di terreno malamente urbanizzato alla sua vocazione naturale.

Bene quindi il recupero di aree come l’Italcementi...

Che tutte le aree dismesse vadano riutilizzate è pacifico: basterebbero quelle per soddisfare i nostri fabbisogni futuri. Il guaio è che i grandi architetti sono stati male utilizzati. Pensiamo a Busquets: prendere il più grande specialista in infrastrutture urbane e non realizzare neanche uno dei suoi progetti, come il boulevard, la ferrovia e i corridoi verdi, dandogli da fare invece una zona periferica semirurale a nord di Trento e il centro anziani agli ex Sordomuti è come prendere il più grande cardiochirurgo e farlo operare al piede.

Cosa manca al Trentino?

I quadri dirigenti: dal politico al dirigente, dall’intellettuale al professionista: sono di un provincialismo esasperante. Sicuramente ci sono ottimi elementi anche tra i funzionari, i quali però se ne stanno ben coperti perché sanno cosa succederebbe se si permettessero di esporsi. Esempio: i tecnici che in val di Fatta, attraverso Transdolomites, hanno fatto una controproposta a Metroland sono rimasti coperti dall'anonimato. La posizione è stata: i nomi non li facciamo, vogliamo proteggerli. Con questo clima è difficile una maturazione culturale.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano