Trento: c'è voglia di essere "capitale"

Il sindaco Andreatta rilancia e chiede per Trento uno statuto ad hoc



TRENTO. L’ultimo braccio di ferro sulla biblioteca di Botta: la concessione edilizia spetta al Comune, ma la deroga passa anche dalla Provincia, decisamente più propensa al via libera. Andando a ritroso, gli scontri non sono mancati: polo rottamazione, scuole, nuova stazione, città turistica. Ecco perché oggi il sindaco Andreatta rilancia e chiede per Trento uno statuto ad hoc.
Il capoluogo rivendica maggiore autonomia nei rapporti con la Provincia, la possibilità di decidere senza essere costantemente sotto tutela. Su temi importanti come l’urbanistica e le politiche sociali, tanto per cominciare, due settori che la recente riforma istituzionale ha trasferito alle neonate Comunità di valle. Ma anche in settori come la cultura e il turismo: da anni Trento punta ad ottenere lo status di città turistica.
Il sindaco ha messo nero su bianco il suo pensiero tre giorni fa nella sua relazione al bilancio: «A Trento vive un quarto della popolazione trentina. Chi ha fatto parte delle amministrazioni di questa città sa bene che la scala dei problemi che spesso ci si trova ad affrontare richiederebbe strumenti di cui purtroppo il Comune capoluogo non dispone». E quindi la richiesta: «Se la Provincia vorrà proseguire nel percorso di decentramento, come si evince dalla riforma istituzionale, ci sono tutte le premesse per riflettere sull’opportunità di elaborare uno statuto originale e distinto per la città di Trento».
L’analisi di Andreatta parte dal ruolo del capoluogo: «È piuttosto chiaro che una città ha problemi del tutto diversi rispetto a quelli di Comuni medio piccoli. C’è una scala diversa, differenti sono l’impatto e gli interessi coinvolti». «Differenti - è la conclusione del sindaco - dovrebbero essere allora gli strumenti amministrativi a disposizione».
Andreatta fa l’esempio delle politiche sociali: «Fino a oggi sono state fortemente delegate dalla Provincia. Ma per affrontare i bisogni più legati all’emergenza sarebbe meglio che potessimo decidere noi, daremmo risposte più veloci e più mirate».
C’è poi la partita urbanistica, il settore dove già oggi il Comune detiene maggiori poteri. Emblematiche, a questo proposito, sono due vicende. La prima è quella del polo della rottamazione, sul quale tre anni fa si è consumato uno dei più forti scontri istituzionali tra Piazza Dante e Palazzo Thun. Successe quando la giunta provinciale confermò il sito della Vela ignorando completamente la richiesta del consiglio comunale di avere tre mesi per ulteriori verifiche su altre aree. Perfino l’allora sindaco Alberto Pacher, solitamente misurato, lo definì «un brutto sgarbo istituzionale». Uno schiaffo, un atto di arroganza inaudita, trattati peggio dei vassalli, furono le definizioni usate in Comune. Alla fine - a dispetto di comitati e consiglio comunale - il polo della rottamazione fu realizzato alla Vela.
Altra storia: gli istituti scolastici. Dopo anni si era arrivati all’accordo per collocare all’ex Italcementi il polo dell’arte, ma Dellai ha scompigliato le carte e proposto di trasferire lì gli istituti tecnici, che l’amministrazione comunale vorrebbe tenere nel quadrilatero di via Barbacovi-via Brigata Acqui. Al momento pare raggiunto il compromesso: a Piedicastello potrebbe spostarsi solo una delle scuole tecniche.
E così, passando per la nuova mega-stazione internazionale prevista dalla Provincia allo scalo Filzi e che spaventa il Comune, si arriva ai giorni nostri e alla polemica sulla biblioteca universitaria progettata da Mario Botta. Che il vicepresidente della Provincia Alberto Pacher ha già pubblicamente sdoganato, mentre il Comune sostiene che così il progetto è troppo impattante.
Nei prossimi mesi Trento dovrà sottoscrivere una convenzione con Aldeno, Cimone e Garniga che definisca le rispettive competenze. Un altro tavolo a cui il capoluogo rivendica garanzie di piena autonomia.

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