Squillo e schiave del sesso: «Ma liberarsi è possibile»

Tante le associazioni in Trentino che aiutano le prostitute a cambiare vita. Tra lavoro, corsi di lingue e tirocini ecco le storie di chi ce l’ha fatta


di Silvia Siano


TRENTO. Maria è nigeriana, ha 24 anni. Arriva in Italia quattro anni fa, con la speranza di una vita migliore. Ed invece finisce sulla strada. Come lei, tante altre. Finché decide di dire basta, di saldare il conto con una vita che le ha già chiesto troppo. Insomma di ritagliarsi uno spazio migliore nella società. Tra le iniziative, che in questi anni, hanno aiutato le ragazze a ripartire con il piede giusto c’è il progetto LLambina, dal nome di una giovane albanese, la prima ad entrare nel 2003, nella casa di accoglienza, morta nel suo paese, dove era andata per sistemare le pratiche burocratiche per il ritorno in Italia e da dove purtroppo non è più ripartita.

Ad oggi le donne che hanno abbandonato la prostituzione, ospitate nella struttura della cooperativa Punto d’Approdo (che si occupa del progetto), sono state 24, la maggior parte originarie della Nigeria (15, quattro di origine rumena, una bulgara, una macedone, una russa, una moldava ed una marocchina). Sedici di loro provenivano da Trento, due da Bolzano e le restanti da Rovereto, Venezia, Lecce, Cagliari, Teramo, Palermo. “Sono donne che hanno vissuto l’esperienza del traffico internazionale e della tratta – spiegano i referenti del progetto. Alcune sono state sfruttate come prostitute sulle strade italiane, alcune nei locali notturni, altre in appartamenti nascosti”.

Hanno mediamente dai 19 al 30 anni. “Quando arrivano da noi – proseguono i responsabili della cooperativa – hanno già deciso di iniziare una vita diversa, di abbandonare la prostituzione. Le difficoltà maggiori sono all’inizio, soprattutto per le nigeriane, che non conoscono la nostra lingua, mentre le ragazze dell’est hanno spesso ricevuto una formazione e l’inserimento è più semplice”. La struttura che conta quattro posti è sempre piena: mediamente la permanenza varia dai due ai tre anni e mezzo, quattro. “Molto dipende – continuano i referenti – dal tempo necessario alle donne per rendersi autonome. Il nostro compito è favorire questo processo, attraverso laboratori nei quali si insegna alle ragazze il rispetto degli orari e degli appuntamenti, attraverso i corsi di lingua italiana e di informatica e attraverso i tirocini lavorativi, finalizzati all’assunzione”. Il ritorno alla vita normale per le ragazze è soft. “Abbiamo a disposizione un appartamento – spiegano dall’associazione – nel quale le donne, ormai alla fine del percorso, possono andare ad abitare per testare la loro ritrovata autonomia, prima di camminare definitivamente con le loro gambe”. Oltre alla coop Punto d’Approdo, sono altre le realtà che si occupano di prostituzione (Lila Trentino per il contatto diretto con le vittime e per la prevenzione sanitaria; l’associazione Cif - Centro italiano femminile di Trento - per il monitoraggio e la mediazione linguistico culturale; le unità di strada dei volontari l’associazione l’Altrastrada di Trento e dal Gruppo Raab di Rovereto; per le strutture di accoglienza, l'associazione Acisjf- Casa della giovane di Trento, la cooperativa Villa S. Ignazio di Trento e l’associazione Atas-onlus di Trento) e che insieme costituiscono il sistema trentino di accoglienza delle vittime della tratta.

A preoccupare gli operatori non è solo la prostituzione di strada, ma anche quella (molto più complessa da monitorare) negli appartamenti, della quale si sta occupando il Centro italiano femminile di Trento con la raccolta di testimonianze e questionari. “L’obiettivo – conclude Rose Marie Callà del Cif e referente Tavolo Trentino contro la tratta di esseri umani – è scattare una fotografia sul fenomeno della prostituzione esercitata in appartamenti del territorio provinciale per avere un quadro preciso del fenomeno. Questo ci consentirà di intervenire in maniera più mirata e tempestiva”.

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