Simone e Tamara, impresa a -50 

Moro e la Lunger conquistano il Pik Pobeda (3003 metri) vicino al Circolo Polare



TRENTO. «Lì il termometro può scendere fino a meno 70. A noi è andata bene: il gelo non ha superato i meno 50. Di spedizioni ne ho fatte quasi sessanta: questa è stata una cosa speciale, del tutto diversa». Simone Moro, 50 anni bergamasco d’origine e altoatesino di adozione (abita con la moglie e il figlio ad Ora), sabato è rientrato in Italia assieme a Tamara Lunger, 31 anni di Cornedo all’Isarco dopo una spedizione nel gelo della regione montuosa Chersky Range, nella Siberia orientale. Hanno conquistato il Pik Pobeda, 3003 metri di roccia e ghiaccio, molto vicino al Circolo polare artico.

Domenica si è concesso una giornata di relax in famiglia, ma ieri poco dopo mezzogiorno stava già rientrando da una gita di scialpinismo: «Sono partito presto, sono andato ad allenarmi, adesso però sono in macchina: vado a preparare il pranzo a mio figlio Jonas che sta tornando da scuola».

Quando dice che è stata una spedizione “speciale”, completamente “diversa” dalle altre, pensa al freddo polare ovviamente.

«Anche ma non solo. Mentre quando vado in Himalaya, sia dal Pakistan, che dal versante del Nepal che del Tibet, sono preparato a tutto, perché conosco molto bene sia le zone che le popolazioni; qui era tutto nuovo. La popolazione non parla inglese, non c’è alcuna tradizione turistica, anche le conoscenze geografiche sono piuttosto scarse».

Dopo aver conquistato otto vette himalayane, com’è nata l’idea di sfidare il gelo?

«La curiosità per questa nuova meta è nata un anno fa, dopo aver letto un articolo sui luoghi più freddi della Terra. Si citava il record del villaggio siberiano di Ojmjakon, dove si toccano e superano i meno 70 gradi. Ho cercato se c'erano montagne vicine e ho scoperto che c’è una grande catena. La montagna più alta è appunto il Pik Pobeda. Di qui l’idea di salire in invernale».

Il problema principale dunque era il freddo, più che le difficoltà alpinistiche?

«È vero che il Pik Pobeda è un Tremila, ma non è stata comunque una passeggiata: abbiamo usato sci da alpinismo per l’avvicinamento e poi ramponi e piccozze. In vetta siamo arrivati l’11 febbraio in poco più di 7 ore e ne abbiamo impiegate altre 4 per fare ritorno al campo base».

Come vive la popolazione a temperature così rigide?

«Vive. Quella dove siamo stati, per intenderci, era la zona dei gulag. Per proteggersi dal freddo usano pellicce di volpe e di orso. Fino a meno 50 i bambini vanno regolarmente a scuola. L’escursione termica è pazzesca: dai più 35 dell’estate ai meno 60 dell’inverno».















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