L'INTERVISTA massimo corradini 

«Senza cure gratis i deboli torneranno dai dentisti croati» 

Il Caso della settimana. Il dottore, ora in pensione, è stato il primo convenzionato della legge 22: «Ma ora non ci stiamo più dentro  con i costi. Manca la volontà politica di salvare questo modello»


Luca Petermaier


Trento. Il dottor Massimo Corradini, oggi in pensione, è stato il primo dentista in Trentino ad ottenere la certificazione di “dentista sociale”. Vale a dire il primo ad essere accreditato dall’Azienda sanitaria in base alle legge del 2007 che ha istituito alcune prestazioni di base a carico del sistema sanitario provinciale per i cittadini meno abbienti. Come abbiamo visto ieri, una legge unica in Italia, che dà risultati più che soddisfacenti ma che – per assenza di reale volontà politica nel sostenerla – sta lentamente naufragando.

Dottor Corradini, possiamo chiamarla “padre” della legge 22?

I padri sono altri, dall’ex assessore Remo Andreolli che la sostenne politicamente e la fece approvare nel 2007 fino all’altro ex assessore alla salute, Ugo Rossi, che nel 2008 diede concreta attuazione alla norma. Io, semmai, sono lo zio.

Allora, in quanto “zio”, le chiedo: siamo stati esagerati a parlare di rischio di lento “naufragio” della legge?

No, per nulla. La legge sul dentista di base è un esempio di utilizzo etico dell’autonomia, un gioiello da far conoscere in tutta Italia. Un fiore all’occhiello della sanità trentina che, però, non piace ai dentisti. Singolare no? Da questa avversione è disceso un fortissimo condizionamento alla politica e all’amministrazione, fino ad una chiara ostilità. In particolare sta naufragando il modello di prevenzione pubblica, invidiatoci dalla Comunità scientifica nazionale.

Da cosa è motivata questa ostilità?

Ciò che non va giù ai dentisti, o meglio alla “lobby della libera professione” è il sistema del convenzionamento diretto con l’Apss. I Privati poi vorrebbero inserirsi nei progetti preventivi, normalmente appannaggio del servizio pubblico. Dicono che con questa legge viene meno il principio di libera scelta medico-paziente. Dicono, sempre loro, che sarebbe da preferire il modello indiretto: il paziente si sceglie il medico che vuole e poi, in base alla tariffe, ottiene il rimborso dall’Azienda sanitaria.

Non sembra mica male, cosa non le torna di questo modello?

Due cose essenzialmente. La prima è che il sistema dei rimborsi decontestualizzati da un progetto globale di prevenzione e cure, soprattutto se non sono adeguati ai costi in costante aumento, rischia di generare solo aumenti tariffari, vedi il caso del mercato immobiliare trentino assistito.

Il secondo motivo?

Il dentista convenzionato non solo accetta le tariffe stabilite dall’Azienda ma per ottenere l’accreditamento deve superare tutta una serie di controlli e di verifiche di qualità che pongono la struttura privata alla stregua di quella pubblica. Si tratta di una evidente disparità di trattamento tra convenzionati e non convenzionati.

Ma già oggi il modello indiretto è previsto dalla legge, qual è il problema?

Il problema, come dicevo, è di parità di condizioni anche se – guardando i numeri – sono gli stessi pazienti a preferire di gran lunga il dentista convenzionato al sistema del rimborso.

Perché, allora, non si punta a sostenere le convenzioni?

Chiedetelo agli ex assessori alla sanità e alla Cao, la Commissione odontoiatri dell’Ordine dei medici. Nel 2013 l’Azienda sanitaria aveva tentato di mettere ordine nel sistema istituendo una “rete odontoiatrica provinciale” che creasse una forte integrazione tra pubblico diretto, pubblico convenzionato e indiretto. L’obiettivo era di lavorare tutti un po’ meglio e, per il paziente, di avere chiarezza di cura e nelle prestazioni. Questa rete non è mai nata.

Ma non è che questo sistema rischia di mettere in difficoltà i dentisti che, legittimamente, decidono di non accreditarsi?

No, anzi, è l’esatto contrario. Questo sistema fa vincere tutti. Il paziente debole, che si avvicina alle cure e non paga; il dentista convenzionato ed anche il dentista che decide di restare fuori dal sistema: abituando le persone a farsi curare i denti, queste persone continueranno a farlo per sé e per i propri figli anche qualora uscissero dai limiti Icef e questo rappresenta un potenziale guadagno per tutti, no? Penso che i convenzionati abbiano creato un’importante cultura odontoiatrica.

Quanti sono oggi i dentisti convenzionati?

Sono 24.

Il suo studio lo è ancora?

Io sono in pensione e quindi non decido più nulla, ma sì, lo studio è ancora convenzionato.

Manterrete la convenzione?

Ripeto, io sono fuori ma i numeri parlano chiaro: non ci stiamo più dentro con i costi. Abbiamo tariffe ferme dal 2007 mentre dal 2015, al budget dei 13,5 milioni, ne è stato tolto uno. Molti miei colleghi stanno pensando di non rinnovare la convenzione con l’Azienda sanitaria. Ci sono anche grossi problemi legati a ritardi nei pagamenti delle prestazioni ortodontiche ai bambini (anche un anno dopo), che determinano lacrime e sangue per chi sceglie di mantenere l’accreditamento.

Il risultato è un indebolimento di questa legge: per il cittadino in che cosa si traduce?

Molto semplice: il cittadino debole economicamente deve prendere il pullman e andare a farsi curare i denti in Croazia, il che rappresenta una evidente lesione del “diritto di normalità” alle cure. Ricordiamoci che la gente, in Croazia, ci va non perché lì i dentisti siano più bravi ma perché costano meno.

Di cosa ha bisogno oggi la legge per non perdere efficacia?

Di poche cose: adeguamenti tariffari, informazioni meno pregiudizievoli dentro la categoria dei dentisti, effettiva attuazione dei protocolli di prevenzione pubblica già deliberati ma “congelati” e, finalmente, una rete odontoiatrica efficace che lavori in sinergia con i convenzionati. Ovviamente ci vuole la volontà politica di fare tutto questo.

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