Sait, va al lavoro e si scopre licenziata 

La donna, invalida, ieri si è presentata per prendere servizio perché non aveva ricevuto comunicazioni. Ma è stata rispedita a casa


di Ubaldo Cordellini


TRENTO. «Mi sono sentita trattata come una scarpa vecchia, come una cosa che non serve più. Trattata a pesci in faccia dopo 28 anni di lavoro e adesso sono in mezzo a una strada». Ha passato un anno in bilico tra la preoccupazione di perdere il lavoro e la speranza di mantenerlo, visto che nessuno le aveva comunicato il licenziamento. Lei la chiameremo Elisa, anche se non è il suo vero nome, per proteggerla. Ha sessanta anni ed è una dei licenziati del Sait. Per la precisione, l’ultima licenziata e l’ha saputo solo ieri quando si è ripresentata al lavoro dopo un anno di cassa integrazione. Non aveva ricevuto nessuna comunicazione. Niente, neanche una mail, un sms, un segnale di fumo. E così, ieri mattina si è presentata al Sait. Ma l’avevano licenziata a sua insaputa, come ha scoperto dopo aver aspettato per mezzora davanti ai tornelli del consorzio. Il racconto della donna fa venire i brividi, soprattutto per come la situazione è precipitata senza neanche un cenno da parte dell’azienda. E’ il destino capitato agli ultimi due licenziati, lei è un collega di cui scriviamo nell’articolo sotto. Mentre altri due avevano ricevuto la lettera di licenziamento alla fine della settimana scorsa, in extremis per la fine dell’anno di cassa integrazione. Il racconto inizia dalla fine, da quando il mondo le caduto addosso: «Questa mattina (ieri mattina ndr) sono andata al lavoro poco prima delle 8. Non avevo ricevuto la lettera di licenziamento e, su consiglio di Roland Caramelle della Filcams Cgil, mi sono presentata all’ingresso del Sait. Mi hanno fatta aspettare mezz’ora e poi mi hanno chiamata all’ufficio personale. E lì mi hanno detto a in maniera anche troppo diretta: “E tu che ci fai qui?”. Ho risposto che non avevo ricevuto niente e che mi ero presentata per prendere servizio. Si sono stupiti e mi hanno detto che in giornata mi sarebbe arrivata la lettera di licenziamento. Già che c’ero, mi hanno fatto firmare il libretto di lavoro e mi hanno accompagnato per svuotare il mio armadietto. Poi sono stata invitata a tornare a casa e, nel frattempo era arrivata la raccomandata che annunciava il licenziamento. C’è scritto che vengo licenziata per riduzione del personale per giustificato motivo oggettivo. Ma, sul retro, c’è anche scritto che è stata spedita giovedì alle 14,30. Considerando che la cassa integrazione scadeva lunedì, non poteva arrivare in tempo perché in mezzo c’erano le feste. Ma quello che non considero giusto è che non mi hanno avvertito. Mi hanno trattata come una merda. Non so trovare un termine più adatto. Venerdì o giovedì potevano avvertirmi in qualche modo invece di farmi provare questa beffa atroce. Mi hanno fatto sperare fino all’ultimo minuto di aver conservato il lavoro e invece mi avevano già licenziata».

La donna racconta di non essere mai stata ripresa in 28 anni di lavoro: «Ero in cassa da inizio aprile dell’anno scorso. Per tutto quest’anno non ho mai ricevuto segnali o avvertimenti. Anzi, quando sono uscite le pagelline, il mio nome non era tra quelli indicati per il licenziamento. Così ero relativamente tranquilla. Io sono stata assunta nel 1990 come categoria protetta perché ho un’invalidità. Per quasi tutti questi 28 anni ho lavorato in magazzino. Ero nelle categorie protette, ma ho sempre fatto quello che mi veniva chiesto e adesso vengo trattata così. Mi hanno buttato in mezzo a una strada senza neanche dirmelo e non so ancora cosa fare. Mi consulterò con il sindacato e con gli avvocati. Vedremo se ci sono gli estremi per impugnare il licenziamento e sennò mi darò da fare per cercare qualcos’altro. Certo, a saperlo prima avrei potuto chiedere, presentare domande per tempo».

Adesso la donna ha 60 giorni di tempo per accettare il licenziamento e i 16 mila euro lordi di buonuscita oppure fare ricorso contro il licenziamento.















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