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Sì o no: cosa cambia per l’Italia Autonomia, la novità è l’«intesa»

Ecco le (possibili) novità per il Trentino in caso di vittoria del sì



TRENTO. In Trentino molto del dibattito referendario si è concentrato su quale impatto avrà la riforma costituzionale sull’autonomia speciale, a fronte della «clausola dell’intesa» prevista dall’articolo 39. Ma la riforma Renzi-Boschi cambia l’assetto delle istituzioni italiane, pur lasciando inalterata la forma di governo e i poteri del presidente del consiglio.

Autonomia più sicura? Oggi gli statuti delle Regioni a statuto speciale possono essere modificati dal parlamento attraverso una legge costituzionale. La riforma introduce una clausola di salvaguardia in base alla quale il nuovo Titolo V non si applica alle speciali fino alla revisione dei rispettivi statuti: revisione che potrà avvenire solo sulla base di un’intesa tra lo Stato e le Province autonome. Per i sostenitori del sì si tratta di una conquista che blinda la nostra autonomia, mentre per il fronte del no si tratta di una misura debole perché temporanea dentro una riforma centralista, che andrà ad acuire il solco tra Regioni ordinarie e speciali. Oggi il Trentino Alto Adige elegge 7 senatori su 315. Se passasse la riforma, nel nuovo Senato la regione avrà 4 dei 95 senatori (due per Provincia, un sindaco e un consigliere regionale). Sarà una legge successiva al referendum a stabilire con che modalità i consigli regionali sceglieranno i futuri senatori tenendo conto delle indicazioni di voto degli elettori.

Addio al bicameralismo paritario. Oggi il governo deve ottenere la fiducia dei due rami del parlamento. Se vince il no tutto resta com’è oggi. Se vince il sì, sarà solo la Camera a dare la fiducia al governo e ad esprimersi sulla gran parte delle leggi. Il Senato legifererà sugli ambiti che riguardano le Regioni, i rapporti con l’Europa, le leggi elettorali e costituzionali. Il nuovo Senato sarà composto da 100 senatori invece dei 315 attuali: saranno 74 consiglieri regionali e 21 sindaci (più 5 nominati dal presidente della Repubblica) che percepiranno la loro indennità precedente. Come gli attuali senatori, godranno dell’immunità parlamentare. Complessivamente i parlamentari caleranno da 945 a 730.

Stipendi dei consiglieri regionali. La riforma stabilisce che l’indennità dei consiglieri regionali (che oggi è in media di 10 mila euro) abbia un tetto massimo, ovvero lo stipendio del sindaco del Comune capoluogo (in media 5 mila euro). Si aboliscono anche i finanziamenti dei consigli regionali ai gruppi politici.

Referendum. Oggi per i referendum abrogativi sono richieste 500 mila firme e un quorum del 50% più 1 degli aventi diritto. La riforma prevede che in caso vengano raccolte 800 mila firme il quorum scenda al 50% più 1 dei votanti alle ultime elezioni politiche (per il prossimo referendum basterebbe il 37,5%).

Abolito il Cnel. La riforma abolisce il Cnel, il consiglio nazionale economia e lavoro composto da 65 membri che in 50 anni di vita ha presentato 14 disegni di legge. I dipendenti saranno assunti dalla Corte dei conti.

Cancellate le Province. Le Province sono già state abolite, con la riforma vengono tolte dalla Costituzione.

Parità di genere. La riforma introduce in Costituzione la parità di genere in parlamento e nei consigli regionali.

(ch.be.)













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