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Rovereto, fatta la Tac agli alberi di viale Trento

Per l'esperto Marco Corzetto le piante giovani soffrono l’assenza di cure competenti


di Luca Marsilli


ROVERETO. I risultati definitivi arriveranno solo all’inizio della prossima settimana, quando il gruppo di tecnici del verde da ieri al lavoro in viale Trento sarà tornato a Genova ed avrà riversato la mole di dati raccolti nel computer che ne trarrà le “radiografie” di ogni albero. Ma su una cosa Marco Corzetto, l’agrotecnico ieri a Rovereto assieme al figlio Luca, studente di agraria, e all’architetto del paesaggio Agnescha Dala, si è sbilanciato già a colpo d’occhio: quello che manca del tutto è una gestione del verde.

E vale per il passato, con gli errori compiuti nei decenni sulle piante che oggi si vogliono abbattere, ma anche per il presente. Tanto da fargli concludere che se non si cambia radicalmente approccio, qualsiasi intervento alla lunga si rivelerà inutile. O, per essere ancora più chiari, che anche sostituendo tutti gli alberi tra 10 anni ci si ritroverà con gli stessi problemi di oggi, solo su piante meno grandi.

«Basta guardare la fila di alberi - dice Corzetto - sull’altro lato di viale Trento: sono stati piantati, mi dicono, 9 anni fa. Ma hanno uno sviluppo nettamente insufficiente per questa età: sono piccoli. E nemmeno in salute: soffrono di parassiti, sia insetti che funghi, esattamente come gli alberi più vecchi del viale. Sono piante che dovrebbero vivere per 150 anni, ma vanno trattate come si deve. Con costanza e competenza. In alternativa pensare di avere dei viali alberati è semplicemente impossibile».

Quali sono gli errori? «Lì evidentemente non si è proceduto nel modo più corretto al momento di mettere in opera le nuove piante. Scavi troppo piccoli, terriccio non adatto. Questo spiega lo scarso sviluppo. Ma non basta. Su questo lato (quello col doppio filare di alberi destinati ad essere abbattuti) ci sono piante giovani messe in opera di recente. Ma molte non hanno uno spazio sufficiente, in aiuole troppo ristrette o addirittura assenti, perché le radici respirino. Molte inoltre rendono già evidenti carenze nelle potature: o si interviene con costanza, ogni paio di anni, togliendo i rami che vanno nella direzione sbagliata o semplicemente per governare e contenere la crescita della chioma, o ci si ritroverà a dover intervenire per forza con potature troppo drastiche. Che di fatto condannano la pianta: le capitozzature che hanno danneggiato in modo così grave 30 anni fa gli alberi che ora si vogliono abbattere».

Il punto è che la pianta tollera ferite limitate, ma non è in grado di difendersi quando al contrario viene radicalmente ridotta, con grandi superfici di legno vivo lasciate alle intemperie: da lì penetrano i funghi che nutrendosi del legno, finiscono per scavare i tronchi all’interno. Le famose cavità che compromettono la resistenza dell’albero e portano al rischio di schianti. Quindi o si cambia radicalmente gestione, o tanto vale rinunciare.

«Basta un trattamento adeguato, con delle iniezioni, per risolvere per anni il problema della cameraria, la farfallina che mina le foglie, e degli attacchi fungini sempre al fogliame. A Trieste e a Genova, per citare due casi, gli alberi sono stati trattati e il problema debellato ormai da anni. Poi servono degli esperti sia per la posa in opera che per il mantenimento in salute delle piante».

Ma tornando agli alberi che rischiano la motosega, sono recuperabili?

«Certamente non sono tutti da abbattere, e sarebbe un delitto farlo. Altrettanto sicuro che alcuni andranno sostituiti: quelli la cui solidità risulterà eccessivamente compromessa. Ma si potrebbe tentare di salvarli quasi tutti: ci sono funghi antagonisti per combattere il fungo che provoca le marcescenze ed una pianta con uno sviluppo vegetale rigoglioso, può generare nuovo legno in misura maggiore di quanto ne perda per il fungo cariogeno che la intacca. Serve un cambio di mentalità, comunque. Altrimenti i problemi non si risolveranno mai».

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