Rossi: il centrosinistra deve radicarsi di più sul territorio

L’analisi del governatore: «Il centrodestra non è cresciuto, voti persi per l’astensionismo Non inseguiamo le civiche, serve una proposta politica chiara. Vincente il modello Lavis»


di Chiara Bert


TRENTO. «Il centrosinistra deve darsi due obiettivi: caratterizzarsi politicamente ma essere più attento a coltivare un rapporto diretto con gli elettori». Il presidente della Provincia Ugo Rossi analizza il voto delle comunali di domenica, da cui la sua coalizione è uscita non sconfitta ma sicuramente ammaccata.

Presidente, il risultato delle elezioni per la maggioranza è a luci e ombre. Molti elettori non sono andati a votare.

L’astensionismo è un dato che preoccupa. Siamo dentro un trend nazionale, basta pensare alle recenti elezioni in Emilia Romagna (dove ha votato il 37%, ndr). Non vedo grandi spostamenti di voto tra un polo e l’altro, i voti si muovono dentro gli schieramenti. Nel centrosinistra l’emorragia di voti ha colpito di più alcuni partiti.

In diversi Comuni il centrosinistra autonomista si divide e perde. La preoccupa?

Dove la coalizione non si è presentata con una logica di coesione e un progetto comune vedo uno spazio per le civiche. Il centrosinistra deve darsi l’obiettivo di essere fortemente caratterizzato politicamente, non abbiamo bisogno di diventare civici, ma al tempo stesso essere molto più attento a coltivare un rapporto diretto con gli elettori, fatto di radicamento, di valorizzazione delle persone più che dei simboli e di qualche traino nazionale.

Secondo lei cos’è mancato?

Dove non ci si mette d’accordo o si mettono in discussione i leader, è evidente che il centrosinistra qualche difficoltà ce l’ha.

A Pergine però si è presentato unito e hanno vinto le civiche.

A Pergine è mancata la continuità, si deve riflettere su questo. Ci sono invece Comuni dove accanto alla proposta politica c’è stato un forte radicamento, come a Riva del Garda, dove si è visto un grande risultato del centrosinistra e partiti (il Patt, ndr) che hanno quasi quadruplicato i loro voti. Un altro esempio virtuoso è Lavis, e non lo dico perché è il mio Comune: si è fatto uno sforzo di ricomposizione, il Pd ha saputo interpretare il radicamento e pur con un candidato sindaco del Patt, ha avuto un grande risultato.

Le civiche possono diventare uno scenario per il 2018?

Alle comunali le civiche ci sono sempre state, alle provinciali c’è bisogno di operare una sintesi di carattere politico.

A Cles e a Mori si è andati ad uno scontro diretto tra Patt e Pd. Si poteva evitare?

Bisognava sapere lavorare in modo diverso, la responsabilità di essere andati divisi è di tutti. In qualche caso, io l’avevo detto, non avrei visto male le primarie.

A Trento il Patt è andato peggio del Cantiere di Dellai, che si è confermato secondo partito della coalizione. Se l’aspettava?

Non faccio commenti sulle liste, ma osservo che facendo un confronto sulle comunali del 2009, il risultato è esattamente l’opposto. I pesi sono lì da fotografare, dopodiché l’esperienza del Cantiere può comunque essere utile sulla città.

A Trento la coalizione ha faticato e ha perso 10 punti.

È anche normale, sono tanti anni che governa una parte e non c’era una competizione calda come a Rovereto. La democrazia è fatta anche di competizione, che manca quando non c’è un’alternativa strutturata. Ora fa bene Andreatta a rivendicare autonomia nella composizione della giunta, come ho potuto fare io: ed è importante che quella scelta non venga messa in discussione.

L’exploit della Lega la preoccupa?

Nel centrodestra vedo un grande spazio politico che oggi è occupato solo dalla Lega. Il centrosinistra ha scelto la via più difficile che è quella di gestire i problemi anziché agitare soluzioni che poi non arrivano.

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