Riserve all’erario, è muro contro muro

Pacher: inevitabile l’ennesima impugnazione alla Consulta. E Dalmonego avverte il governo: sarebbe un falso in bilancio


di Paolo Morando


TRENTO. In sala stampa, davanti ai cronisti, il tono è tanto fermo quanto diplomatico. Ma con i collaboratori più stretti, quelli con cui a Roma la scorsa settimana ha fronteggiato il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni e i suoi “sherpa”, Alberto Pacher non lesina considerazioni tra lo sconsolato e l’incredulo: perché l’immagine dei vertici di via XX Settembre che gli si è profilata davanti, in questi giorni di trattativa sulle riserve all’erario, è quella di chi - letteralmente - non sa che pesci pigliare per raddrizzare i conti pubblici. E quindi, per così dire, allunga le mani su ciò che di volta in volta si presenta più a portata di mano. In questo caso, appunto le risorse delle autonomie speciali. Per giunta in spregio di una sentenza della Consulta che, per la quota relativa al 2013, ha già dato torto allo Stato, consentendo anche alla Provincia di Trento di poter ricollocare a bilancio tali risorse: e infatti quei 140 milioni sono ora nuovamente in fase di pagamento da Roma in direzione Trentino. Mentre nessuna notizia Pacher ha più avuto circa i 200 milioni dello scorso anno. Ma per il prossimo quinquennio 2014-2018, e il totale farebbe 700 milioni, Saccomanni lo ha detto e ripetuto: sono soldi che devono restare a Roma. Legittimando così con le ragioni della necessità quelle che, secondo Pacher, altro non sono che «incursioni ingiustificate».

Se alla fine così sarà scritto nella legge di stabilità, inevitabile sarà da parte della Provincia la mossa dell’impugnazione, l’ennesima: sono ben 15 quelle presentate da Trento davanti alla Corte costituzionale negli ultimi due anni. Una spirale ininterrotta che, secondo il presidente della Provincia, configura quella che definisce alternativamente «situazione sgradevolissima» e «quadro patologico» dei rapporti Trento-Roma». Nel cui ambito passano in secondo piano altri piccoli salassi per le casse provinciali già stabiliti dal governo: gli ulteriori 30 milioni di euro chiesti alla Provincia a titolo di patto di stabilità (e che si aggiungono ai 651 delle precedenti manovre) e il contributo per il riequilibrio nazionale in materia sanitaria. Che per il 2015 ammonterebbe a 4,6 milioni di euro, per salire comunque a 5,2 dal 2016 in poi. Certo, la legge di stabilità è ancora alla prima stesura. E l’esperienza insegna che da qui all’approvazione gli emendamenti sono destinati a moltiplicarsi, fino a un prevedibile maxiemendamento del governo che trasformerà radicalmente il testo oggi all’attenzione di amministratori e partiti. Ma gli spazi di manovra, già stretti, sembrano destinati a ridursi ulteriomente.

Qui Pacher fa riferimento alla trattativa complessiva che, da tempo, Trento ha gettato sul tavolo per cercare di compensare l’ennesima stangata: assumere cioè deleghe amministrative in grado di far risparmiare allo Stato una cifra pari a quella ora richiesta. Una via che tra l’altro, evidentemente per cercare di correre ai ripari in extremis, ora sembrano voler percorrere anche le altre autonomie speciali, proprio sull’esempio trentino. E dire che da parte della Ragioneria dello Stato la partita sembrava vista con favore, con eccezioni e distinguo su alcune cifre comunque superabili, per non parlar del sostanziale via libero venuto dal ministro per le Regioni Delrio e dallo stesso Saccomanni. Ma il silenzio che negli ultimi giorni è caduto su questa parte della questione, e l’implicita sconfessione venuta dalla legge di stabilità, è significativo.

Vie d’uscita? Pochine, benché siano proprio le norme d’attuazione dello Statuto a vietare espressamente allo Stato la facoltà di trattenere le riserve all'erario per il riequilibrio della finanza pubblica, prevedendo tale possibilità solo per questioni straordinarie, come ad esempio la ricostruzione dopo un terremoto. Tanto che, per aggirare la sentenza della Consulta, al ministero dell’Economia sembrano aver già ideato un’altra formula: la rinuncia alle riserve all’erario e la loro effettiva erogazione alle autonomie, ma con vincolo di utilizzo «quale contributo al risanamento dei conti dello Stato». Se non siamo al gioco delle tre carte, poco ci manca. Per dire comunque fino a che punto potrebbe portare questo tira e molla, vale la pena citare il direttore generale della Provincia Ivano Dalmonego. Che sottolinea come il governo debba presentare la legge di stabilità anche ai partner europei, che a Roma possono chiedere ulteriori chiarimento o integrazioni. Basterebbe insomma far notare alla cancelliere Merkel che quei 4 miliardi complessivi “estorti” alle autonomie poggiano sul mancato rispetto di una sentenza della Corte costituzionale. Non a caso per Pacher si tratta di una legge che «non ha gambe su cui camminare». Ha anche parlato testualmente di «falso in bilancio», Dalmonego, «esattamente quello che ha fatto la Grecia gli anni scorsi». Con le conseguenze che tutti conosciamo.

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