Reddito minimo, al Trentino 4,2 milioni

Le risorse del governo per i poveri. La Provincia (che ha il reddito di garanzia) ora corre ai ripari per non perderle


di Chiara Bert


TRENTO. In sigla si chiama «Sia», sostegno all’inclusione attiva: è il reddito minimo varato dal governo, con un decreto firmato il 26 maggio dai ministri Poletti (lavoro) e Padoan (economia), che dovrebbe aiutare chi è in condizioni di povertà, un sostegno economico accompagnato da un piano di inclusione sociale.

A disposizione ci sono 750 milioni di euro per il 2016 ripartiti tra le Regioni a seconda della loro quota di popolazione che si trova in povertà: il Trentino si colloca nella fascia bassa, terz’ultimo con lo 0,6% di poveri dietro solo a Valle d’Aosta (0,2%) e Provincia di Bolzano (0,5%), con un budget previsto di 4,2 milioni. Risorse che però rischiano di andare perse a causa del «reddito di garanzia», la misura di contrasto alla povertà che la Provincia finanzia da anni con proprie risorse.

L’assegno di povertà nazionale. Le risorse sono destinate in via prioritaria ai nuclei familiari con figli minori o disabili a carico o con donne in gravidanza. È richiesta la residenza in Italia da almeno 2 anni e un valore Isee non superiore a 3 mila euro: ogni componente potrà beneficiare di 80 euro al mese fino a un massimo di 400 euro per nucleo per un massimo di 12 mesi. Non si tratta di un assegno in denaro: le risorse vengono ripartite sottoforma di una «carta sociale» che consente di acquistare beni primari piuttosto che di pagare le bollette. Una misura universale anti-povertà che si è data anche un ambizioso obiettivo: chi riceverà l'assegno - ha ripetuto in più occasioni il ministro del lavoro Giuliano Poletti - dovrà impegnarsi contestualmente, come già accade nelle città che stanno sperimentando il sostegno per l'inclusione attiva, a mandare i figli a scuola e ad accettare le offerte di lavoro.

Il reddito di garanzia trentino. Accade però che il Trentino in questo campo sia più avanti del resto d’Italia e dal 2007 abbia messo in campo un proprio strumento di sostegno a chi è sotto la soglia di povertà: il reddito di garanzia. Ne beneficia chi è residente in Trentino da almeno tre anni e ha un valore Icef fino a 0,13: prevede un tetto di 950 euro al mese per nucleo familiare fino a 8 mesi in un anno (con sospensione di un anno dopo due anni) e un «patto di servizio» con l’Agenzia del lavoro in modo da evitare forme di puro assistenzialismo. Cifre alla mano, il reddito di garanzia è una misura che raggiunge una platea più ampia di quella a cui è diretto il reddito minimo statale: lo stanziamento provinciale si aggira sui 14-15 milioni all’anno per un totale di circa 32 mila domande. Domande - ha ricordato recentemente l’assessore alle politiche sociali Luca Zeni - che vedono in aumento gli italiani: sul 39% di richiedenti, hanno raggiunto il 12%.

Il rischio. La prospettiva è che il reddito di garanzia, che è appunto conteggiato come reddito, impedirà ai potenziali beneficiari del «Sia» nazionale di ottenere il sostegno a cui avrebbero diritto. «Una situazione paradossale - spiega il vicepresidente della Provincia e assessore al lavoro Alessandro Olivi - di fatto in Trentino lo Stato non spenderebbe nulla perché noi interveniamo già con risorse nostre».

La Provincia corre ai ripari. Ma a quei 4,2 milioni destinati ai poveri trentini Piazza Dante non intende rinunciare. «Abbiamo inviato al ministero e ai nostri parlamentari una proposta di emendamento al decreto - spiega Olivi - per fare in modo che le somme destinate al «Sia» vengano comunque assegnate alla Provincia, che ha competenza primaria in materia di assistenza e beneficenza pubblica, per il reddito di garanzia che noi integriamo con ulteriori stanziamenti. Il nostro impegno - continua l’assessore - è di garantire l’assegno a tutti coloro che l’avrebbero ricevuto dallo Stato». Il reddito di garanzia diventerebbe così un’integrazione, per rendere l’assegno un po’ più sostanzioso, «e con la parte di risorse che si libereranno potremo finanziare altri strumenti di welfare come i buoni di servizio», conclude Olivi.

Il decreto prevede che le Regioni e Province autonome, con un protocollo d’intesa con il ministero del lavoro, possano integrare il fondo per la carta acquisti per aumentare il beneficio e aumentare la platea dei beneficiari. Ammesso che il governo accetti la richiesta trentina, armonizzare i due assegni non sarà cosa facile: soglie e sistemi di calcolo sono diversi, così come le modalità di erogazione. Nulla di insuperabile se l’obiettivo (comune) è combattere la povertà.

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