IL CASO

Reddito ai poveri? In Trentino c’è già 

I beneficiari sono 6 mila, ma l’assegno provinciale è meno generoso delle promesse del M5S. I due sistemi a confronto


di Andrea Selva


TRENTO. Puntare al reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle (che è di manica molto larga, ma è solo sulla carta) o accontentarsi dell’assegno unico della Provincia autonoma di Trento, che è (molto) meno generoso ma è già una realtà per oltre 30 mila nuclei familiari, fra cui 6 mila beneficiari del sostegno al reddito? La domanda è retorica, ma attuale se davvero il risultato elettorale del Movimento 5 Stelle è legato almeno in parte, soprattutto a livello nazionale, alla promessa del reddito di cittadinanza.

In realtà il cosiddetto “reddito di garanzia” (ora assegno unico) è realtà in Trentino da vari anni, tanto che il disegno di legge presentato dal consigliere provinciale del M5S, Filippo Degasperi, venne bocciato dalla giunta provinciale (e poi in consiglio) con la motivazione che in Trentino c’era già l’assegno unico: «Una misura più ampia e completa rispetto al reddito di garanzia» disse in commissione l’assessore Luca Zeni, sostenendo che non c’erano motivazioni per cambiare strada. Lo stesso disegno di legge incontrò invece il parere favorevole di Confesercenti, soprattutto in base alla considerazione della spesa che si sarebbe verificata sul territorio provinciale, in particolare con il sistema dei buoni spesa da utilizzare presso soggetti convenzionati.

Un dato è certo: il reddito di cittadinanza promesso dal Movimento 5 Stelle è molto più generoso rispetto all’assegno unico provinciale, tanto che nel caso del disegno di legge Degasperi la spesa sarebbe lievitata a 88 milioni di euro rispetto ai circa 70 milioni di euro messi in bilancio dall’amministrazione provinciale per il 2018, di cui però solo una ventina vanno al sostegno al reddito, mentre gli altri servono come contributi di invalidità e come sostegno alle famiglie (anche non povere) per la crescita dei figli e il pagamento dei servizi per l’infanzia.

Confrontare sistemi diversi è difficile, ma già ad una prima analisi la differenza è evidente: nel caso del M5S (in particolari condizioni di deprivazione, misurate dall’Icef) una famiglia mono-componente può arrivare a 7.500 euro all’anno di reddito di cittadinanza. Cifra che sale addirittura a 16 mila euro nel caso di famiglie con 4 o più componenti. La Provincia garantisce somme più modeste (in media 2 mila euro all’anno) tenendo conto di tutte le componenti dell’assegno unico (sostegno al reddito, figli, invalidità, eccetera).

Entrambi i sistemi prevedono l’accettazione di un patto: prende i soldi chi accetta un progetto di re-inserimento lavorativo. Nel caso della Provincia anche chi svolge lavori socialmente utili se non ci sono concrete possibilità lavorative. Questa la teoria, ma la pratica è molto complicata: chi può controllare se davvero i disoccupati cercano lavoro? Quanto ai lavori socialmente utili, ancora non esistono (nemmeno nel caso provinciale). Infine una sostanziale differenza tra i due sistemi: il M5S trentino pretendeva i 5 anni di residenza sul territorio provinciale.













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