«Questo carcere non è Auschwitz»

Il direttore Pappalardo al Garante: «Noi cerchiamo opportunità per i detenuti». Ma nessuno accede a lavori esterni


di Maddalena Di Tolla


TRENTO. È una «situazione da fronte bellico», con grandi difficoltà anche per chi ci lavora, quella nel carcere di Trento: così l’ha descritta ieri, in un lungo incontro-sfogo con i giornalisti, il direttore Valerio Pappalardo, affiancato dal comandante della polizia penitenziaria Daniele Cutugno. Il direttore ha voluto spiegare, dicendosi amareggiato per come il rapporto del Garante nazionale dei detenuti a luglio e certa stampa locale in questi giorni hanno descritto le criticità del carcere. «Qui non siamo ad Auschwitz. Abbiamo subito un’ ispezione provveditoriale dopo la visita della delegazione del Garante, con esito positivo. Devo ricordare, del resto, che non c’è nessuna evidenza per i magistrati. L’esposto in procura presentato il 6 maggio dal dottor Palma (garante nazionale, ndr) ha visto la richiesta di archiviazione da parte del pm. Il rapporto del Garante descrive una mediocrità amministrativa, mentre noi cerchiamo di trovare soluzioni e opportunità per i detenuti». Evidente dalle parole del direttore il fastidio per chi «viene da fuori per poche ore, senza nulla sapere della difficoltà di gestire una struttura sovraffollata e con poco personale». Non nascondono i problemi, i due dirigenti, anzi li evidenziano e chiedono interventi al ministero. «Non c’è nessuna stanza delle torture, evocare pestaggi e sangue per delle macchie su un muro è assurdo - si è infervorato Pappalardo -. Qui siamo tutti brave persone, le poche mele marce, che esistono ovunque, sono sempre state denunciate e allontanate». Ha spiegato il comandante Cutugno: «Ci sono 108 agenti su un organico previsto di 214. I detenuti sono 311, dovrebbero essere 240. Produciamo 90 ore di straordinari al giorno, abbiamo anche esaurito i fondi per pagarli. Siamo costretti a cancellare riposi e ferie». Il comandante ha raccontato con amarezza la frustrazione del personale per l’ultima sconfitta, quella del suicidio in cella di un detenuto nei giorni scorsi. «Non doveva entrare in carcere» si è lasciato sfuggire, desolato, il direttore. Cutugno ha precisato: «Dal carteggio relativo al detenuto abbiamo verificato che era stata effettuata la valutazione sulla compatibilità carceraria. Lasciatemi ricordare come sia difficile rispondere alle esigenze di chi sta male fuori dal carcere, figurarsi quanto lo sia in questo ambiente. In tre anni però abbiamo sventato 11 suicidi». A Spini, hanno ricordato, dopo le 21 in infermeria non c’è nessuno, e sempre di notte ai piani un solo agente deve controllare un centinaio di detenuti. A breve sono previsti 30 pensionamenti di agenti senza possibili sostituzioni. Cosa potrebbe cambiare qualcosa? «Il concorso per reclutare 600 nuovi agenti in tutta Italia, di cui parlano fonti sindacali – ha raccontato Cutugno – e la possibile assunzione diretta di 800 agenti delle graduatorie precedenti». Ieri di carcere si è discusso anche in consiglio provinciale dove è stato bocciato un ordine del giorno di Borga (Civica) contro la richiesta di una delega allo Stato per gestire la struttura di Spini. Civico (Pd) ha ricordato l’importanza dei percorsi rieducativi alternativi alla detenzione per contrastare la recidiva e per ridurre il sovraffollamento. Oggi nessun detenuto a Spini accede a lavori esterni.













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