Quei poveri monumenti sfrattati

Non solo Mussolini. Da Alberto d'Asburgo a Caterina Lanz: le statue rimosse


Mauro Lando


TRENTO. Quando li vediamo in qualche piazza, i monumenti hanno tutti un che di solenne ed infondono l'idea di essere perenni, inamovibili. Non è così, soprattutto quando c'è di mezzo la politica. Non è necessario pensare alla statua di Saddam Hussein, mostrata in tutte le televisioni del mondo quando fu scalzata dal suo piedistallo durante la guerra in Iraq. E' sufficiente pensare al "nostro" Benito Mussolini scomparso nell'aprile del 1945 da tutte le piazze d'Italia. Rimane ancora il suo bassorilievo in piazza Tribunale a Bolzano, ma anche da lì sta per essere sfrattato. Il problema è solo trovare un magazzino dove collocarlo per essere seppellito non dalla polvere della storia, bensì dalla polvere dell'abbandono.
"Così svanisce la gloria del mondo", si può dire traducendo dal latino, ma in una terra di confine come la nostra non è solo Mussolini ad essere sfrattato dal luogo che pomposamente doveva segnare la frontiera tra latini e barbari. E' successo anche ad un Asburgo, casata ben più nobile del figlio del fabbro di Predappio.
L'arciduca. La città di Arco ha vissuto suoi splendori in epoca asburgica e proprio per questo nel 1913 eresse un monumento all'arciduca Alberto d'Asburgo che proprio nel centro gardesano aveva portato la sua residenza e la sua corte dando lustro alla città. Morto nel 1895, quasi vent'anni dopo (la gratitudine non è sempre rapida) nel 1913 Arco innalzò il monumento in suo onore. Passati sei anni (l'ingratitudine è più rapida) nel 1919 la statua finì nei magazzini del Castello del Buonconsiglio. Poteva esserci un Asburgo sul piedistallo di una Arco diventata italiana? No di certo, e il destino fu il magazzino. Il piedistallo rimase vuoto ed alla metà degli anni '70, con Arco piena di turisti austriaci e bavaresi, si pensò di riutilizzarlo facendo tornare l'arciduca. Nacque un comitato, il Comune non si oppose, si inventò una formula giuridica e l'arciduca tornò ad Arco. Era il 2 aprile 1980.
L'eroina. Se in vita l'arciduca tutto sommato non aveva compiuto grandi gesta, l'esilio del monumento toccò anche ad una vera eroina, tanto dimenticata quanto invece è osannato il suo "leader" Andreas Hofer. Caterina Lanz, giovane ladina di 25 anni, il 2 aprile 1797 si mise alla testa di un gruppo di volontari e si oppose all'avanzata delle truppe franco-bavaresi tanto che le seppe fermare poco distante a Bressanone. Ricalcò in qualche modo le gesta di Hofer in Tirolo. Naturalmente a Livinallongo, suo paese natale, le costruirono una statua di bronzo, portata poi durante la prima Guerra mondiale a Corvara in val Badia. Nel 1923 il prefetto di Bolzano la fece togliere dalla piazza e trasferire al Museo della guerra di Rovereto dove rimase fino al 1964. In quell'anno fu restituita a Livinallongo. Perché la statua era stata esiliata? Per un'eroina in qualche modo tedesca, e per di più ladina, non c'era posto nel firmamento fascista.
Il re dei Visigoti. Qualcosa di molto simile è successo anche alla statua che ora è collocata a Bolzano davanti al palazzo della Provincia. Rappresenta il re visigoto Teodorico da Verona (Dietrich von Bern) che sconfigge il leggendario re Laurino, protagonista del mito di Soreghina. Con qualche suggestione di pangermanismo era stato collocato nel 1907 su una fontana nel centro di Bolzano. Anche a seguito di qualche tafferuglio nel 1936 il podestà di Bolzano fece togliere il monumento e lo donò al Museo della guerra di Rovereto perché non si poteva certo celebrare un barbaro che sconfigge un latino (benché ladino). Per intervento della giunta provinciale dell'Alto Adige quella statua è tornata a Bolzano nell'aprile 1992.
Le statuine. Non si è trattato di un monumento, ma del sequestro di una collezione di 69 statuine in porcellana, capolavori rococò delle manifatture tedesche di Nynphemburd e Meissen. Nel 1939 arrivarono al Castello del Buonconsiglio da Merano: vennero sequestrate alla dogana ad un ebreo tedesco che stava per lasciare l'Italia e fu mandato nel campo di sterminio. Da allora rimasero al Buonconsiglio finché vennero restituite nel giugno 2003, agli eredi della vittima, negli Stati Uniti.

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