salute

Protonterapia, iniziata la prima cura su una bambina

La piccola, che viene dal Lazio, è la prima paziente pediatrica. I medici: «I protoni la possono salvare»


di Matteo Ciangherotti


TRENTO. Due giorni. Qualche ora, o poco più, tra i macchinari che potrebbero salvarle la vita. O, magari, aiutarla a convivere meglio con la malattia. A combatterla giorno per giorno in attesa della parola fine. Un vocabolo complicato da pronunciare quando il nemico si chiama cancro. È una bambina laziale il paziente pediatrico numero uno in trattamento presso il centro di protonterapia di Trento. Ospitata in un appartamento messo a disposizione dalla Lilt, la piccola bimba ha iniziato il suo viaggio «tra i protoni» mercoledì scorso.

Un giorno importante, non soltanto per il futuro della piccola, ma anche per quello dell’unità operativa di protonterapia dell’azienda sanitaria trentina che proprio sul trattamento dei tumori infantili ha puntato più di una speranza. Irradiare il cancro in un paziente pediatrico con i protoni, invece di utilizzare i fotoni della radioterapia convenzionale, significa, infatti, incorrere in meno effetti collaterali. I tessuti, nei bambini, sono più delicati, essendo gli organi ancora in crescita, e dunque più soggetti a complicanze. Con la protonterapia, i tessuti sani vengono parzialmente risparmiati dalla dose di raggi.

«Si ottiene quindi una riduzione degli effetti collaterali acuti e tardivi e, contemporaneamente, si può così aumentare la dose di irradiazione con protoni, con risultati più efficaci», ha spiegato la dottoressa Barbara Rombi del centro di protonterapia di Trento, intervenuta ieri mattina durante il convegno «Protonterapia: un’opportunità di cooperazione nell’Euregio» organizzato dall’Apss nell’Auditorium del Centro servizi sanitari. Nei bambini – più bassa è l’età, maggiore è il beneficio del trattamento con i protoni – si assiste, per esempio, a una riduzione significativa del secondo tumore radio-indotto (causato cioè dalla tossicità delle radiazioni). «La radioterapia con i fotoni – infatti, ha proseguito Rombi – causa nei bambini complicanze tardive come deficit neuroendocrini, disturbi neurocognitivi e nella crescita ossea, danni all’udito e all’apparato cardiovascolare».

Le probabilità di successo della terapia con i protoni, associate a una minore incidenza di effetti collaterali, aumentano quando a essere trattati sono i tumori del sistema nervoso (sarcoma e cordoma della base cranica per esempio) che rappresentano, per ora, la principale indicazione della protonterapia in bambini e adulti. Uno studio realizzato a Boston, nel dicembre 2014, evidenzia come la qualità di vita di pazienti pediatrici affetti da tumori cerebrali sia maggiore con il trattamento con protoni rispetto a quello tradizionale con fotoni.

La ricerca, se pur non definitiva e non esente da alcune incertezze, mette in luce come con la protonterapia la funzione emotiva, sociale e scolastica - oltre agli aspetti più strettamente fisici – migliorino nei piccoli pazienti trattati. Ed è proprio su questa strada che il Centro di Trento si vuole e si deve muovere, nonostante i tanti (molti, ma sono mai troppi se si salva la vita di un essere umano?) denari spesi e il progetto di un nuovo ospedale (che alla protonterapia serviva e serve) arenato e bloccato tra tecnicismi e incompetenze. Questa bambina laziale, immaginiamo romana chissà poi perché, che vive in un piccolo e grazioso appartamento trentino in compagnia di un altro bimbo, per ora in valutazione, con la protonterapia vuole tornare a sorridere.

«Un tumore complesso che richiederà mesi di trattamento – racconta il direttore del centro Maurizio Amichetti –; una bambina che qui possiamo trattare senza ricorrere all’anestesia, un paziente che proviene dall’ospedale pediatrico del Bambin Gesù».

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