Poste, verso un polo del commercio

Una società privata è interessata ad acquisire l’immobile. Già affidato ad un architetto lo studio di fattibilità


di Paolo Piffer


TRENTO. Alle Poste alcune pedine si stanno muovendo nella direzione di un’operazione immobiliare tutta privata. Per il palazzo di via Calepina, i cui piani superiori sono inutilizzati da anni, potrebbero esserci novità significative. La conferma, che avvalora le anticipazioni di ieri del “Trentino”, arriva dall’assessore comunale allo sviluppo economico Fabiano Condini. «L’impressione - attacca - è che qualcosa stia succedendo. Tenendo peraltro conto che la proprietà è delle Poste, società che, diciamola tutta, non brilla certo per dinamismo». Il che pare significare che i tempi potrebbero non essere brevissimi, pronti a smentirci, per eventuali cambi di proprietà e nuovi utilizzi ma che una strada sembra comunque esser stata intrapresa. «In questi ultimi tempi - aggiunge l’assessore - ci sono dei segnali. La nostra aspirazione è quella che lì nasca un polo del commercio, piccole iniziative integrate, una sorta di hub per negozi e terziario. Gli intendimenti dell’amministrazione comunale sono stati sempre questi. Eventualmente - e Condini sottolinea l’avverbio - al Comune spetterebbe una regia di carattere urbanistico perché l’ipotetica operazione sarebbe comunque gestita direttamente dalle Poste».

L’assessore fornisce un ulteriore indizio: «La mia impressione è che non ci sarà nessuna asta». In passato ce ne furono un paio, andate deserte, sia per il prezzo dell’immobile, oltre 15 milioni di euro, che per i costi aggiuntivi derivati dai necessari lavori di ristrutturazione subordinati ai vincoli di stretta tutela a cui è soggetto il grande e complesso edificio razionalista, opera di Angiolo Mazzoni realizzata a cavallo tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Ma pure per una clausola che prevedeva, per un tot di tempo, la prelazione della Poste sul piano terra, ovviamente il più ambito, tanto più per attività di carattere commerciale ma anche per le banche interessate.

Se non fosse più l’asta la procedura individuata per liberarsi, facendo cassa, di un edificio che per forze di cose, essendo poco utilizzato, è soggetto mano a mano a deperimento, è perciò da capire quale sarebbe il percorso scelto. E, anche in questo caso, pur sempre usando il condizionale, Condini ipotizza: «Si potrebbe procedere, ma non c’è nulla di certo, alla ristrutturazione per poi collocare il tutto sul mercato. E’ questo lo scenario che si prefigura. D’altronde, anche in altre parti d’Italia le Poste si sono comportate in questo modo».

L’assessore si ferma qui, altro non aggiunge. C’è però una domanda che è necessario porsi. E cioè se le Poste si possano imbarcare in un’operazione di ristrutturazione, ancor più di questi tempi, senz’altro costosa, senza avere cognizione di causa di quale possa essere il compratore, restando cioè con il classico cerino in mano. E’ seguendo questa considerazione che si viene a scoprire altro, il che fa pensare che a palazzo Thun la regia prospettata sia ben più ampia di quella urbanistica. Sarebbe cioè una società privata trentina quella interessata all’acquisto. Tanto ché è stato affidato ad uno studio di architettura cittadino il compito di redigere uno studio di fattibilità e i contatti tra la società e il colosso romano sarebbero ben più che dei semplici approcci.

C’è che sostiene che si sia ormai raggiunto un accordo di massima. Per farne cosa? Di quelle migliaia di metri quadri. Forse per venderli (in toto o in parte), a qualche grande firma nel campo delle merci d’uso, non certo dell’alimentazione (non ci sono i parcheggi). Di cui tanto si annuncia, da tempo, lo sbarco in città. Le uniche con un giro internazionale d’affari tale da “sopportare” operazioni di questo tipo.

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