Pedergnana, scure della Corte dei Conti

All’ex funzionario contestati danni alla Comunità di valle per 199 mila euro. E la Finanza gli sequestra di nuovo la casa


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PERGINE. Il primo a chiedere il sequestro preventivo sulla casa - per 80 mila euro - era stato il giudice Ancora. Ora arriva anche la Corte dei Conti che fa partire un secondo sequestro per coprire i danni che avrebbe arrecato alla Comunità di Valle. Danni per 199 mila euro. E considerando che il valore dell’immobile (che si trova a Rovereto) è di 270 mila euro, ne mancano all’appello ancora 9 mila. Questi conti li ha fatti anche Paolo Pedergnana, ex funzionario della Comunità Alta Valsugana e Bersntol visto che si sta parlando di casa sua. Casa che rischia seriamente di perdere.

L’ultimo provvedimento è deciso dalla Corte dei Conti alla luce dell’indagini del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza che in questa verifica è stata coordinata dal sostituto procuratore Maria Colpani. E si è arrivati alla cifra di 199 mila euro sommando i danni economici che la condotta illecita di Pedergnana avrebbe provocato all’ente di cui era dipendente. Gli 80 mila euro, invece, che sono stati contestati dalla procura riguardano invece le somme che il funzionario avrebbe indebitamente percepito.

La vicenda nasce in seguito ad un esposto di Mauro Dallapiccola, il presidente della Comunità. Gli investigatori della polizia tributaria si sono concentrati in particolare sui sussidi e sulle prestazioni che sono state erogate dall'ente fra il 2006 e il 2011 e hanno sentito un centinaio di testimoni, persone che avevano a che fare con il funzionario Pedergnana perché percepivano il reddito di garanzia, i sussidi per le spese dentistiche, i rimborsi per le rette della materna o per il pagamento di bollette e affitto. Pedergnana avrebbe predisposto false dichiarazioni Icef, poi allegate al fascicolo dell'utente, con situazioni reddituali o familiari alterate per consentire l'erogazione di sussidi di importo maggiore a quello dovuto. Avrebbe anche simulato stati di bisogno degli utenti, in alcuni casi inesistenti. La falsa documentazione consentiva di erogare la somma direttamente al soggetto bisognoso e quindi sarebbe stato necessario un ulteriore passaggio. Il dipendente avrebbe così contattato i beneficiari e si sarebbe fatto consegnare le somme in contanti (preparando anche false ricevute di comodo) convincendoli della necessità dell'Ente di rientrare in possesso delle somme a causa di errori nelle procedure. In altri casi si sarebbe offerto di pagare bollette che in realtà erano già state saldate.

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