«Partiti pigliatutto e con valori deboli»

L’analisi del politologo Nevola dopo il caso Pedergnana: «Pericoloso selezionare i vertici in base alla fedeltà al leader»


di Chiara Bert


TRENTO. «I partiti si sono svuotati, sono diventati macchine elettorali che cercano di prendere tutti o dappertutto. Sono organizzazioni leggere, con riferimenti identitari e ideologici fragili, dove è tramontata la militanza». Gaspare Nevola, ordinario di Scienza politica all’Università di Trento, riflette sul tema della selezione della classe dirigente dopo il «caso Pedergnana», il neopresidente del Patt costretto a dimettersi dopo la pubblicazione di alcune sue foto in cui baciava il santino del duce e faceva il saluto romano.

Professor Nevola, i vertici del Patt hanno liquidato l’accaduto come una goliardata. Qual è il suo giudizio?

I leader politici dovrebbero avere consapevolezza del significato dei loro gesti e assumersene la responsabilità. Non possono giocare impunemente come studentelli con simboli e prese di posizione: hanno un ruolo pubblico, politico ed educativo, e devono dare conto di cosa fanno e del perché lo fanno. Le dimissioni di Pedergnana sono il minimo dovuto. Al fondo c’è un problema di cultura politica. Negli ultimi vent’anni è saltato quel patto di identità democratica che era il patto costituzionale: i partiti si riconoscevano tra loro e condividevano alcuni valori essenziali, primo tra tutti l’antifascismo. Oggi il vuoto di culture politiche produce atteggiamenti disinvolti che arrivano a ripescare ancoraggi di memorie sopravvissute, spesso senza piena cognizione di cosa rappresentano e senza rispetto per la memoria condivisa.

È stata evocata anche la “macchina del fango”...

I partiti e i politici vivono di media, ma si lamentano quando questi fanno il loro lavoro e il loro dovere informando, criticando e condannando quando è il caso. Sarebbe molto meglio se si impegnassero a chiarire l'accaduto e, nel caso, chiedere scusa se ritengono di aver sbagliato.

Esiste secondo lei un problema di selezione dei vertici in base alla fedeltà al leader?

Sì, ed è pericoloso ed impoverente per un partito e per il leader stesso. Consente il controllo della macchina nel breve tratto, ma alla lunga la espone a sbandate. La politica italiana, non solo trentina, ha ormai allargato la lista dei casi di sbandamento: si pensi alla selezione operata negli anni da Forza Italia, dalla Lega, dallo stesso Pd. La prima vittima è la vitalità e la capacità di innovarsi e correggere rotta da parte del partito, la mancanza di cambiamento, la guerra tra gruppi dirigenti di partito e le scalate da parte di boss esterni o di politici periferici.

Nell’epoca della personalizzazione della politica, quelle di oggi sono leadership generalmente più deboli di quando i grandi partiti selezionavano la classe dirigente partendo dalle scuole di partito, perché?

Sono leadership più fragili di una volta se consideriamo la leadership come una funzione di guida strategica di un partito, mentre sono più forti se consideriamo il ruolo contingente, tattico, del leader del momento. I partiti personali possono essere agili nel muoversi alla giornata, ma la leadership che funziona nel tempo non può esaurirsi nella figura dell'uomo solo al comando: c'è bisogno di collegialità e articolazione nella definizione degli indirizzi e nell'assunzione delle responsabilità. Guidare un partito a colpi di fedeltà al leader e piegando tutto sul voto alla fine è segno di debolezza e porta o all'implosione o all'esplosione di un partito, specie se questo presenta al suo interno una pluralità di anime.

Negli ultimi anni diversi partiti, dal Pd al M5S, hanno puntato sulle primarie. Cosa non funziona in questo metodo?

La debolezza di questi metodi di selezione si manifesta su tre principali piani: inseguono l'andamento fluttuante delle opinioni del momento, indeboliscono il sostegno strutturato al leader e viene meno il coinvolgimento nella discussione e nella deliberazione della base, con il partito che si chiude in se stesso in una logica autoreferenziale leaderistica, lacerandosi tra inclusi (dirigenti, boss locali e "carrieristi") ed esclusi (militanti e "dilettanti" - nel senso weberiano di coloro che si prestano alla politica per diletto e non per trarne sostentamento o vantaggi personali).

Quanto pesa la debolezza dei partiti attuali nella selezione della classe dirigente?

I nostri partiti sono più che mai "catch-all-party", cercano di prendere tutti o dappertutto. Presentano organizzazioni leggere, fragilità dei riferimenti identitari e ideologici, perdita di contatto capillare con il territorio e con la realtà quotidiana, tramonto della militanza. Sono partiti che rispondono e si riferiscono soprattutto all'elettorato in generale, il "partito della nazione" di Renzi ne è un buon esempio anche se non è il solo. Sono partiti che hanno rinunciato a seminare e coltivare un voto di appartenenza o di identificazione. Al posto delle ideologie o delle cultura politiche compaiono le persone e i leader, e poi i programmi: generici, che possano andare bene un po' a tutti.

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