il delitto

«Non volevo uccidere Carmela, ma solo prendere i bimbi»

Ieri mattina il lungo interrogatorio di Marco Quarta nel carcere a Spini di Gardolo. Un confronto drammatico tra l’uomo, il procuratore Amato e il sostituto Russo


di Paolo Tagliente


TRENTO. «Perché non sono fuggito quella sera? Almeno i carabinieri mi avrebbero sparato e l’avrei fatta finita». Parole di un uomo distrutto, quelle pronunciate ieri mattina da Marco Quarta, il quarantenne immobiliarista che la sera del 12 marzo scorso, a Zivignago, ha massacrato a coltellate la moglie Carmela Morlino. Parole pronunciate al termine del lungo interrogatorio che, affiancato dall’avvocato di fiducia Luca Pontalti, Quarta ha sostenuto in carcere di fronte al procuratore Giuseppe Amato e il sostituto procuratore Carmine Russo.

Un confronto due ore e un quarto. Due ore e un quarto per ricostruire il prima e il dopo della tragedia. Due ore e un quarto di lacrime e disperazione, di dettagli ricostruiti con fredda lucidità, ma anche di momenti avvolti nel buio. «Ha risposto in maniera esaurente – spiega il procuratore – ha descritto la sua condizione psicologica e giustificato il possesso del coltello usato per uccidere la moglie». Un coltello da pescatore che, come ha spiegato Quarta, era stato acquistato sì qualche giorno prima dell’omicidio in un negozio, ma per essere regalato ad un amico. Un regalo che purtroppo l’uomo non aveva più fatto. «Ha spiegato – continua Amato – che aveva portato con sé il coltello solo per intimidire i suoceri o chiunque avesse cercato di impedirgli di prendere i bambini». Quarta non ha saputo dire dove avrebbe portato i due figli, ma secondo l’avvocato Pontalti le intenzioni del suo assistito non erano quelle di fuggire chissà dove con i due piccini, ma piuttosto di mettere in atto un breve rapimento. «Voleva stare qualche ora con loro, forse in qualche casa in val dei Mocheni – riferisce il legale – per spiegare ai piccoli perché, da agosto, non li aveva più visti. Voleva dire loro che il papà non li aveva abbandonati né dimenticati. Lo provano i due spazzolini trovati sull’auto di Quarta e le tre coperte con il cuscino che aveva preparato, ma che poi quel tragico giorno aveva lasciato a casa». L’immobiliarista ha poi raccontato le ore precedenti all’omicidio e la lunga attesa davanti alla casa della moglie: dalle 16.30 alle 20.30. Si era presentato lì nel pomeriggio perché convinto di trovare i suoceri con i nipotini, come accadeva di solito, e invece non aveva trovato nessuno. Aveva così deciso di aspettare e, solo alle 20.30, è arrivata Carmela con i figli. Quanto accaduto dopo è stato ricostruito dagli investigatori dell’Arma, ma Quarta non ricorda cosa abbia fatto scattare la furia omicida. E non ricorda nemmeno la sua fuga, almeno la parte iniziale. Chilometri percorsi in una sorta di trans alla guida della Dacia, che lo ha portato prima a Chioggia e poi in giro per la pianura Padana, senza meta. Fino a progettare il suicidio, gettandosi con l’auto nel Po. Ma alla fine è mancato il coraggio e Quarta s’è solo impantanato. A chi chiede se la Procura ha intenzione di disporre una perizia psichiatrica, il procuratore risponde senza esitazioni: «Non ci sono gli elementi. Non è cosa automatica che chi compie un gesto efferato sia sempre incapace di intendere e volere. Ma ogni decisione verrà presa dopo aver visto i risultati dell’autopsia». Parole di apprezzamento per Amato e Russo, intanto, arrivano dall’avvocato Pontalti, che nonostante 44 anni di esperienza è uscito molto provato, ha sottolineato come i due magistrati abbiano «con i loro collaboratori dimostrato una preparazione professionale di altissimo livello, ma, contemporaneamente, hanno usato una cortesia e umanità eccezionale».

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