Nel Pd Zeni insidia a Pacher la candidatura per il dopo Dellai

Il nome del giovane capogruppo si fa sempre più insistente nell’area kessleriana del partito ma tra i due litiganti potrebbe spuntare Alessandro Olivi, l’assessore «indipendente»


di Robert Tosin


TRENTO. Tutti dicono che prima dei nomi vengono i programmi, ché poi l’intesa si trova. Non è vero niente. I nomi contano, eccome. Non a caso la corsa al dopo-Dellai è cominciata prima di tutto all’interno dei partiti. Nel caso specifico si registra un certo fiorire di candidature (e autocandidature) all’interno del Pd, per il momento con il solo risultato di creare malumori per un motivo o per l’altro. Se il centro destra si trova attualmente nell’indeterminatezza più totale, senza un leader e senza nemmeno alleanze solide (nel Pdl qualcuno se ne va, la Lega ha i suoi problemi interni), il centro sinistra non sta molto meglio. Certo, parte da un bacino di voti ineguagliabile, ed è già un bel partire, ma gli equilibri interni della coalizione non sono certo definiti. L’Upt sta cercando di superare lo stallo con proposte di una nuova politica che però prima devono attecchire, il Patt ha le sue legittime ambizioni (e gli attacchi all’autonomia da Roma fanno il gioco delle Stelle alpine), mentre il Pd, come al solito, prova a farsi del male da solo.

Il nervosismo a sinistra è dettato dai nomi che cominciano a circolare, tutti ben motivati ma lontani da una direttiva del partito orientato alle primarie, foriere però di parecchie sorprese almeno a livello nazionale. A stimolare la situazione è la corrente kessleriana del partito che ambisce a un ruolo di primo piano nella scelta del possibile successore di Dellai. Il nome che viene fatto più insistentemente è quello di Luca Zeni, l’attuale capogruppo. Giovane, preparato, faccia nuova: risponde a molti di quei criteri che si crede siano appetiti dall’elettorato di oggi. In aula ha guidato i suoi in modo positivo e non ha disdegnato qualche battibecco a distanza col presidente Dellai.

La candidatura però non piace ai “tradizionalisti” del partito - soprattutto per questioni di esperienza - che invece appoggiano senza riserve Alberto Pacher, l’attuale vicepresidente. Parrebbe il candidato naturale: prima il ruolo di sindaco e ora quello in giunta provinciale valgono un curriculum di tutto rispetto da mettere sul piatto. Ma un conto sono le logiche di partito, un altro sarebbe affidarsi alle primarie col rischio tafazziano di spaccare il partito.

Anche perché la contesa non finisce qui. Tramontata l’ipotesi di concentrare tutte le risorse su Donata Borgonovo Re, ex difensore civico, nome di spicco della società ma non del partito, a muoversi leggermente defilato c’è Alessandro Olivi. Anche lui può vantare l’esperienza di Pacher (sindaco a Folgaria, Comune certo più piccolo rispetto a Trento) e come assessore provinciale ha dovuto affrontare la stagione della crisi. Ma si può dire che dei tre lui sia il meno organico al partito, più anima critica e “indipendente”. Rischierebbe di essere più indigesto al resto della coalizione rispetto a un Pacher più rassicurante.

Nasce quindi ora, nel Pd, un problema di abbondanza. Il Patt corre compatto al fianco di Ugo Rossi (che in effetti potrebbe trarre giovamento nel presentarsi anche come ago della bilancia tra i partner di coalizione), Mauro Gilmozzi per ora è il primo dei papabili per l’Upt, mentre a sinistra - se diamo credito alle voci di corridoio - stanno aumentando considerevolmente le quote di Luca Zeni, dato a un’incollatura, se non di meno, da Alberto Pacher. In questo contesto il partito ancora non è intervenuto e la preoccupazione degli iscritti è proprio che la contesa mini alla base il dibattito politico che dovrebbe se non altro stabilire le regole della corsa. Malesseri e malumori sono già affiorati.

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