L'OSPEDALE CHIUSO

Mezzolombardo, i pazienti dell'ospedaletrasferiti in tre stanze a Trento

Dieci donne e sei uomini hanno trovato sistemazione nella struttura del capoluogo


Luca Marognoli


TRENTO. Tre stanze. I pazienti del San Giovanni sono tutti lì, al sesto piano del Santa Chiara, reparto di reumatologia. Dieci donne e sei uomini: gli altri sono stati già dimessi, mentre i cinque lungodegenti sono ricoverati all’Hospice dell’ospedale di Cles. Il maggior disagio, raccontano, è stata l’attesa: «Ora capisco - dice Diego Buratti - perché ci chiamano pazienti».
 Ma molti rimpiangono anche le stanze a quattro letti (o addirittura singole), tutte con bagno autonomo, del San Giovanni. Qui si sta negli stanzoni da sei in attesa di ristrutturazione. Senza contare che parenti e amici, provenienti da Val di Non e Rotaliana, dovranno mettere in conto 44 chilometri in più (fra andata e ritorno) per ogni visita.
 Resta il fatto che il posto è stato subito trovato e nessuno è finito in corsia. Ieri pomeriggio sono anche arrivati i letti elettrici, in un primo tempo sostituiti da quelli vecchi, recuperati in magazzino.
 Gli uomini sono tutti in una stanza. Franco Gionta, 78 anni, di Mezzolombardo, è affiancato da moglie e figlio. Il morale è buono: «Disagi? Per me nessuno», sorride. «Abbiamo saputo della cosa attorno alle 9 e mezzo, sentendo i dipendenti che parlavano fra loro. Poi è arrivato il dottor Dalrì che ci ha comunicato che c’erano dei problemi e che, nell’eventualità che si aprissero delle crepe, sarebbe stato meglio trasferirci. Hanno iniziato a circolare persone con il caschetto: bianco gli esterni, giallo i vigili. Alle 11.30 abbiamo pranzato, come sempre. Alle due e un quarto ero già qui e c’era il posto con il mio nome in stanza. Alla sera, invece, sono arrivati i comodini». La moglie Renata condivide l’atteggiamento positivo: «Tutto ci è stato detto con diplomazia e delicatezza, senza allarmismi. Bravi davvero».
 Meno contento il vicino di letto, Arcangelo Tosini, settantenne di Roverè della Luna. «Come è andata? Miga tant ben. Vengono alle 7 di mattina e ti portano via alle 2 di pomeriggio. E l’assessore non l’ho visto... Il viaggio? Quello è stato perfetto: c’erano venti ambulanze sotto, che ci aspettavano. Ma essendo immobilizzato a letto, ho avuto paura. Si metta al mio posto: casca l’ospedale e non può muoversi. Io, fra l’altro, sono un tipo nervoso. Comunque alla fine l’abbiamo superata e tutto sommato sono stati bravi».
 Diego Buratti, 73 anni, ex meccanico Alfa Romeo nell’officina di via Travai, alle 8.30 era in palestra, a fare fisioterapia. «Mi hanno portato via d’urgenza», racconta. «Poi però mi hanno messo su una poltrona e ci sono rimasto quattro ore. Sono stato l’ultimo a lasciare l’ospedale. Adesso capiscono perché ci chiamano pazienti. Preoccupato? Quello no, ma vedendo partire prima uno e poi l’altro dici: qui mi hanno dimenticato... I pompieri però sono stati gentilissimi».
 C’è anche Umberto Tonincelli, 69 anni, di Spormaggiore, fra i trasferiti. «Purtroppo sì», dice. «Disagi non ce ne sono stati, ma ho dovuto aspettare le 3 e mezzo per partire. Qui non è che sia a mio agio perché siamo in stanza in sei. Lì eravamo in quattro, con bagno in camera e tutti i servizi che volevamo. La notte c’è chi fa rumore e il riposo è importante: io in ospedale devo trascorrere un periodo lungo. In ogni modo sembra che ci trasferiranno di nuovo: parlano di Villa Igea. Comunque sia, per moglie e figli venire da Spormaggiore è lunga, soprattutto se le strade sono brutte».













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