TRENTO

«Mediterraneo», la cucina del sud chiude i battenti

Antonio Agosta, titolare del ristorante di Tavernaro, tira i remi in barca: «Una bella avventura far scoprire il pesce ai trentini, ma è un lavoro pesante»


di Sandra Mattei


TRENTO. «Ventidue anni di lavoro in cucina, tutte le sere, feste comprese, ed ora la stanchezza si fa sentire. Penso che si arrivato il momento di pensare un po’ di più a se stessi e alla famiglia».

Giustifica così la decisione di chiudere il ristorante “MediterraneoAntonio Agosta, 57 anni, siciliano verace di Pozzallo, arrivato in Trentino ventenne, sposato con una trentina doc, Carmela Nardon. Il ristorante “Mediterraneo” si trova a Tavernaro, all’interno di una casa storica e quando entri sembra un po’ di stare a casa propria. L’arredamento è quello di una trattoria tipica, con i pavimenti a palladiana e le sedie con la paglia. Antonio ammette che negli ultimi anni il lavoro si è fatto più faticoso perché non si può più permettere dipendenti. Un ristorante a gestione familiare: lui sui fornelli e la moglie in sala.

È una scelta dettata dalla crisi?

Diciamo che ci sono due fattori: un po’ la stanchezza che ad una certa età si fa sentire, un po’ la clientela che, pur essendo sempre affezionata, è diventata più esigente. I piatti che propongo in menù sono sempre cucinati al momento, quindi non ho una proposta così varia. E poi avrei voluto rinnovare il locale, ma non ho trovato un accordo con il proprietario, così ho aspettato di avere un’alternativa e con il primo gennaio andrò a lavorare come dipendente alla Risto3.

È stato difficile educare i trentini alla cucina siciliana?

Quando sono arrivato a Trento, nel ’78, gli unici tipi di pesce conosciuti dai trentini erano la sogliola e il salmone. Nel mio ristorante hanno potuto scoprire le ali di razza, la coda di rospo, il pesce spada in padella con le erbe aromatiche, ma anche le verdure come la caponata, il purè di finocchio.

Tra i suoi piatti forti, cosa segnalerebbe?

Molto apprezzata è la paella, alla siciliana ed il pesce spada ai giardini Naxos, passato nel pan grattato alle erbe aromatiche e il vino bianco. Anche la pasta è uno dei piatti forti: quella “cà moddica” con il pane gratugiato e tostato, i filetti d’acciuga e il finocchietto è un classico. I clienti affezionati non guardano nemmeno il menù, da me vengono per un viaggio ad occhi chiusi nei sapori siciliani».

La scelta di aprire in collina è stata vincente, secondo lei, o le cose sarebbero andate diversamente se fosse stato in centro?

Le distanze in città sono minime, la gente che vuole mangiare pesce si sposta anche per chilometri, non penso sia quello il problema. Quando abbiamo aperto il ristorante i miei figli erano piccoli e abbiamo scelto di trovare una soluzione vicino a casa. Abbiamo trovato questo locale sotto casa, e questo ha facilitato molto il lavoro.

I figli hanno scelto altre strade?

Sì, non vogliono continuare un lavoro che è decisamente impegnativo. Il più grande sta terminando un master in lingue straniere, mentre la ragazza sta facendo l’ultimo anno di superiori, ma sa che non seguirà le impronte paterne.

 













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