Malattie genetiche, il Cibio: «Pochi anni per la cura» 

Domani a Trento gli scienziati spiegano la rivoluzione del “ bisturi genomico”  Lanciata anche una raccolta fondi per passare presto all’applicazione clinica 


di Francesca Quattromani


TRENTO. «Ho la Sla. Posso guarire?» Centinaia le telefonate come questa che arrivano all’ Università di Trento dopo l’annuncio della scoperta del Cibio: il bisturi genomico che elimina il Dna malato in modo preciso. Se ne parlerà domani a Trento all’auditorium universitario di via Tommaso Gar alle 18.

Gli autori della scoperta spiegheranno al pubblico scenari attuali e prospettive future di questa rivoluzione mondiale nel campo della biomedicina. Allo stesso tempo l’ Università di Trento lancerà una raccolta fondi. I ricercatori del Cibio, domani, saranno onesti: la cura delle malattie genetiche è possibile e non è lontana. Si può parlare di anni, non di decenni, ma ci dovranno essere tutte le condizioni per poter procedere. A Trento i ricercatori faranno la propria parte, nel solco della statunitense del 2013. Studi clinici che, fra 3, 5 anni, daranno i primi risultati. «Un tempo non lunghissimo» nota Alessandro Quattrone, direttore del Cibio. Quello che è successo dagli Stati Uniti a Trento è che, nell’intervento sul Dna, si è passati da un “fucile a pallettoni” ad “un’arma di precisione”. «Per due giorni abbiamo avuto i telefoni bloccati» ricorda il direttore del Cibio quando, un mese fa, vennero resi noti i risultati della ricerca trentina. «Le persone e le associazioni chiamavano per illustrare le proprie patologie». La domanda era sempre la stessa: «Quando mi potrà aiutare questa scoperta?». Serve aiuto, per la cura di malattie rare e tumori. I ricercatori biomedici e biotecnologi si occupano della ricerca preclinica. Chi la porta avanti, però, sono i medici e i clinici, gli ospedali. E’ dunque questo il prossimo passo. Ad oggi il Cibio ha reso utilizzabile un enzima con capacità terapeutiche ancora più sicure. E’ la famosa forbice del genoma che elimina il Dna malato in modo preciso. Si tratta della versione più evoluta della proteina scoperta oltre oceano nel 2013. Attualmente la fase è sperimentale: la scoperta va avvicinata all’applicazione clinica. La proteina in questione deve arrivare ai tessuti malati. Al momento essa funziona su cellule in coltura, cioè in laboratorio. Il sistema va quindi applicato alle aree di tessuto malate. «Occorre ancora tempo per arrivare alla sperimentazione umana- chiarisce il direttore Quattrone- Servono studio e molto denaro. Ciò che occorre è un concorso di circostanze, gruppi clinici, aziende farmaceutiche». L’interesse c’è, è stato manifestato. Dall’annuncio della scoperta è passato però un mese appena. Gli scenari sono stupefacenti: i primi campi di applicazione della scoperta sono le malattie ematologiche, le malattie neurodegenerative come Sma e Sla, la fibrosi cistica, l’immunoterapia dei tumori.

I finanziamenti necessari sono ingenti, si parla di 20, 30 milioni come minimo per uno studio piccolo sulle malattie genetiche. Costano i macchinari, costa ogni elemento che compone il laboratorio, pipette, contenitori, reagenti.

Ma è esattamente in un luogo “lontano” come questo (la ricerca appare sempre come un mondo molto distante dalla “terra”) che la scoperta trentina ha avuto inizio. E’ successo oltre un anno fa, ben prima del clamore delle riviste scientifiche internazionali.

In un laboratorio del Cibio di Trento c’era lei, Anna Cereseto, Senior Author del gruppo(una decina di studiosi) autore della scoperta trentina. Gli esperimenti sulle cellule, l’estrazione del Dna. «Sì... la sequenza è corretta...». La sua voce è lontana, china sul tempo di quella giornata. «Diremo la verità, siamo un laboratorio e sviluppiamo molecole per applicazioni in clinica. Se il traguardo è vicino? Noi siamo con i piedi per terra, non vogliamo dare false speranze». Poi però la dottoressa fa un esempio. «Chi poteva immaginare quando il telefono cellulare sarebbe diventato realtà? Successe da un giorno all’altro. E fu una rivoluzione».













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