«Mai stati così vicini alla morte»

Renzo e Wilma Roncher erano al ristorante, poi è scoppiato il finimondo



TRENTO. Le scene di panico, il freddo, il mare nero come la pece e l'angoscia di essere in completa balia degli eventi. Una grande angoscia. «Abbiamo rivissuto le stesse scende del film Titanic. Era tutto così terribilmente simile alle scene girate da James Cameron, tanto che mi sono convinto che egli stesso abbia vissuto un'esperienza simile». A parlare è Renzo Roncher di Dro, che sulla Costa Concordia era insieme alla moglie Wilma. Insegnanti di ballo e più volte campioni italiani, Renzo e Wilma s'erano decisi ad andare in crociera per festeggiare il ventesimo anniversario di matrimonio. E l'esperienza era stata meravigliosa. Almeno fino a venerdì.

«Eravamo seduti al ristorante - spiega Renzo - dopo essere stati a teatro. Avevamo terminato gli antipasti, quando c'è stato il boato. La nave ha cominciato a inclinarsi mentre le luci funzionavano a intermittenza. Qualcuno del personale ci ha detto di stare tranquilli perché si trattava solo di un guasto ad una turbina». Ma si tratta evidentemente di una bugia. «Wilma - continua Roncher - mi ha fatto notare le facce e gli sguardi dei camerieri e dell'altro personale: erano chiaramente preoccupati. Poi, dagli altoparlanti una voce ha cominciato a parlare in codice: "Tango 1", "Tango 2" fino a "Tango 4". Noi siamo maestri di danza, ma in quel frangente il tango non ci ha affatto riportato alla mente un ballo. E questo la dice lunga su quanto fossimo preoccupati». Tanto che Wilma decide di alzarsi e andare a prendere i giubbotti salvagente in cabina, al 6º piano.

Renzo la segue. «È stata un'esperienza terribile, angosciante e claustrofobica. Camminavamo lungo corridoi lunghissimi, tentando di rimanere in equilibri sul pavimento che si inclinava sempre di più. Sembravano senza fine». La salvezza non è affatto scontata, però. «Metà delle scialuppe era inservibile perché sul lato sommerso della nave - spiegano - e l'altra metà si trovava sul fianco inclinato e, quindi, assai difficile da calare in mare». Sono momenti di panico. L'equipaggio è assente o impreparato. «A risolvere la situazione - spiegano - è stato un omaccione inglese, sulla settantina. Sapeva dove trovare e come usare dei ganci per spingere le scialuppe lungo la fiancata e fare arrivare in acqua».

Una corda si spezza, la barca ondeggia paurosamente, sembra rovesciarsi. Ma non accade. «In più occasioni, lo stesso signore inglese ha avuto la forza e il carattere di richiamare a gran voce tutti alla calma». Salire sulla scialuppa è un'impresa e c'è chi, in preda al panico, calpesta gli altri. «Eravamo 60 o 70, spaventatissimi - prosegue il racconto - e a manovrare era un filippino, forse un cuoco». Il viaggio fino all'isola è incerto e sembra lunghissimo. Fa freddo, «Gli abitanti dell'isola - rivelano Renzo e Wilma - sono stati semplicemente meravigliosi: ci aspettavano e ci hanno rifocillato e riscaldato con le cose che avevano in casa. Hanno svuotato i loro armadi per dare giacche e maglioni a noi, che sulla nave non eravamo certo vestiti pesante. Qualche signora era in abito da sera o in camicia da notte. Non finirò mai di ringraziarli. Poi, dopo qualche ora, il lento trasferimento sui traghetti e, alla fine, stremati, il rientro a casa. «La tensione sta calando e continuiamo a piangere. Solo ora stiamo davvero capendo quanto siamo stati vicino alla morte. Su quella nave abbiamo visto gesti di grande egoismo, ma soprattutto di umanità e solidarietà».













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