l’ex assessora regionale violetta plotegher 

«Ma l’aiuto alla previdenza non è assistenzialismo»

La Giunta Provinciale di Trento ha deliberato (finalmente) di attivare le misure per la copertura previdenziale dei periodi dedicati alla cura dei figli e dei familiari non autosufficienti previste...


di Violetta Plotegher


La Giunta Provinciale di Trento ha deliberato (finalmente) di attivare le misure per la copertura previdenziale dei periodi dedicati alla cura dei figli e dei familiari non autosufficienti previste dalla legge Regionale 1/2005, che le definisce e che delega alle due Provincie Autonome la loro gestione. Misure che sono state attivate da anni dalla Provincia Autonoma di Bolzano. Si tratta di interventi che potranno ridurre i buchi nei versamenti che, in particolare con il sistema contributivo, possono impattare negativamente sulla futura pensione. Ne è nato un dibattito importante sulla conciliazione tra lavoro e maternità/paternità e si sono giustamente espresse con forza le voci che insistono sulla necessità di garantire l’occupazione femminile con specifiche politiche. La battaglia per l’autonomia economica femminile e la piena occupazione delle donne si deve fare con decisione e con strumenti innovativi nella contrattazione e nel pensare servizi innovativi. Ma non credo giusto pensare che una persona lasci il lavoro, (se lo ha) o non cerchi lavoro solo perché, tra chissà quanti anni, riceverà il frutto di un contributo aggiuntivo ai versamenti per la pensione che la Regione ha pensato di integrare per i periodi in cui si prende cura dei familiari. Non c’è infatti un guadagno sull’oggi. Questi contributi sono per il futuro previdenziale, non sono certamente “assistenza economica” per sostenere la mancanza di reddito attuale. (Sono altro rispetto alle politiche dei “ bonus bebè” per capirci!). Non possiamo negare inoltre che esista una diversa distribuzione degli impegni per la cura degli affetti e dell’ambiente domestico tra uomini e donne (mediamente una donna spende tempo ed energie per il lavoro domestico e cura dei figli di ben oltre 3 ore al giorno in più rispetto all’uomo). La parità salariale fra uomini e donne è ancora lontana, con una differenza media tra i salari di più del 10% e le statistiche relative alle pensioni erogate dall’INPS evidenziano ancora significativi squilibri a sfavore delle donne che ricevono una pensione che è mediamente la metà di quella percepita dagli uomini. Per questo come Assessora Regionale ho pensato di istituire l’Equal pension day e promosso l’attivazione anche in Trentino di queste misure. Avrei tanto desiderato che l’iter si concludesse con la Giunta Provinciale precedente, ma per me è importante che siano state attivate e trovo non corretto che siano pensate “contro” le politiche per l’occupazione femminile o viste come assistenzialistiche. Non dovremmo infatti contrastare la riduzione della povertà previdenziale futura, ma agire politiche del lavoro per la piena occupazione delle donne oggi. Infatti secondo gli ultimi dati disponibili dell’Istat purtroppo quasi una donna su due rinuncia al lavoro dopo la nascita di un figlio. Mi pare dunque evidente che questo sistema sociale, culturale, economico e occupazionale renda difficilissimo poter vivere con serenità sia il lavoro che la maternità e ci impone di trovare correttivi che certamente riguardano le politiche attive del lavoro e l’armonizzazione dei tempi di vita familiare e personale con orari adeguati e servizi di welfare accessibili e garantiti che ancora mancano. Eppure la condivisione del lavoro di cura familiare comincia ad essere ritenuta importante nelle coppie giovani e molte persone considerano questo tempo importante, necessario e non di poco valore. Tempo che in nessun modo può essere sostituito dalle figure professionali dei servizi educativi o sociali per quanto preparate e necessarie, a cui non è né giusto né opportuno delegare anche la “manutenzione degli affetti”. Tempo che va considerato importante fattore anche di crescita economica in quanto investito nel “capitale umano”, inteso come il bene prodotto dalla cura e dalle relazioni. Occorrerebbe inoltre pensare che questo tempo degli affetti familiari corrisponde spesso alle necessità e ai bisogni di cura dei componenti più fragili di una famiglia e questo tempo dovrebbe poter essere una scelta possibile, consapevole e garantita, riconosciuto nel suo valore sociale e non diventare invece una penalizzazione sia sul lavoro che… per la pensione. A mio avviso inoltre le politiche di armonizzazione dei tempi di vita familiare e di lavoro, soprattutto se i tempi di vita riguardano la cura dei bambini molto piccoli, non si possono considerare solo in termini di politiche di sostegno all’occupazione femminile. Sono da leggere anche come tutela dei diritti dell’infanzia a crescere in modo il più armonioso possibile (e la stabilità delle figure di riferimento affettivo è fondamentale) a cui dovrebbero inchinarsi tutte le politiche di investimento pubblico e privato. Dagli orari di lavoro, alla salubrità dell’ambiente, dal sostegno al reddito dei genitori ai servizi per la prima infanzia, dal coinvolgimento dei padri nella cura dei figli alla responsabilizzazione e al sostegno delle aziende con misure conciliative “family friendly”: sono molte le risposte per pensare in modo trasversale tutte le politiche guardando l’impatto che esse hanno anche per “i diritti dell’infanzia”. E così anche ridurre la povertà delle persone che andranno in pensione fra anni, che oggi si dedicano alla cura dei figli o dei loro familiari, mi sembra giusto, proprio per “pesare” di meno anche sulle nuove generazioni e sulla comunità.













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