Livio «Bomba», professione recuperante

Moena, Defrancesco da oltre vent’anni cura camminamenti e trincee, con piccone e motosega. Ora su incarico del Comune


di Gilberto Bonani


MOENA. Livio Defrancesco, soprannominato “Bomba” dagli amici, è il custode di chilometri di trincee, camminamenti e sentieri compresi tra le nere rocce del Cimon di Bocche e i bianchi calcari del Costabella.

Cresciuto in giovinezza come “recuperante” si è convertito alla Storia, quella con la “s” maiuscola, diventando, suo malgrado, un personaggio, a volte scomodo, ma sempre generoso. Ed è salito alla ribalta nazionale, intervistato in una puntata del reportage che Paolo Rumiz dedica in questi giorni al fronte della Grande guerra, sulla Repubblica.

«Avevo dodici anni quando iniziai a seguire vecchi recuperanti che conoscevano come le loro tasche la zona di guerra. Poi, col passare del tempo – spiega – ho iniziato a lavorare per conservare questo grande patrimonio storico». Presidente dell'associazione “Sul fronte dei ricordi”, animatore del piccolo museo storico realizzato nella frazione di Someda, da anni percorre le linee di combattimento che un tempo separavano la Valle di Fassa dal Biois. Un impegno di puro volontariato, trasformato da sei anni in incarico ufficiale da parte del Comune di Moena. Pala, piccone e motosega sono gli attrezzi più leggeri che porta con sé. Ma lo si può incontrare anche con un generatore da mezzo quintale sulla schiena, l'unico strumento capace di dare energia per perforare la roccia. Dove il terreno è infido Livio Defrancesco è pronto a sistemare un provvidenziale cordino metallico a cui agganciare la propria vita. Poi ci sono percorsi che hanno bisogno di scalinate, passerelle, puntelli, rifiniture in legno.

Qui esce la vera natura di Livio: quella del boscaiolo. Lavorando con la motosega taglia, seziona, adatta tronchi e tavole alla roccia «Perché – afferma senza tentennamenti - i vecchi camminamenti vanno mantenuti secondo le tecniche costruttive di cento anni fa». Non disdegna la ramazza e la pala con cui tiene in ordine sentieri e manufatti insieme ai volontari della sua associazione, imprecando contro i turisti senza cultura e senza storia, che trasformano in latrina una trincea defilata. Ora che si avvicina la ricorrenza per l’entrata in guerra del Trentino a fianco degli Imperi Centrali, il pensiero va al passato e al prossimo futuro. Ripercorre gli oltre vent’anni di impegno, a volte osteggiato se non contrastato. «Un tempo bastavano pochi strumenti e tanta buona volontà, oggi servono permessi, direttori di lavori e carte bollate», commenta da spirito libero e poco incline alle regole. Guarda al prossimo futuro e vive con una punta di sospetto tutta l’animazione e i cospicui investimenti che accompagnano l’avvicinarsi del centenario della Grande Guerra. «In Fiemme e Fassa – spiega – gli interventi finanziati dalla Provincia prevedono lavori fino a una quota di 2400 metri. Però molte opere belliche si trovano più in alto: non per nulla qui si parla di guerra in montagna. Inoltre temo che, passata la ricorrenza, tutto venga dimenticato, così il tempo e le ortiche faranno il loro corso».

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