Le Poste tagliano: 12 uffici sotto la scure

Praticamente sguarnita la val di Ledro, sparisce anche Meano. Gilmozzi: «Salviamo il servizio coinvolgendo le Rurali e la Cooperazione»



TRENTO. E’ la dura legge delle società per azioni: quello che non rende, si taglia. E’ il ragionamento che ha fatto Poste italiane nel redigere l’elenco degli uffici da mettere all’indice, 1.156 in tutta Italia. Non sono economicamente sostenibili e quindi dovranno abbassare la saracinesca. Per sempre. Il problema vero sta però nella funzione degli sportelli postali, spesso punto di riferimento contro l’erosione dalla fuga dai paesi di montagna.

Anche in Trentino l’elenco è stato stilato: a Riva del Garda e Pietramurata già di fatto chiusi e per i quali ora si arriverà anche alla cancellazione dagli elenchi numerati delle Poste, si aggiungono Bezzecca, Borghetto, Nago, Pieve di Ledro, San Sebastiano e Serrada a Folgaria, Tiarno, Cadine, Marter e Meano. (A Bolzano non va meglio: i tagli sono 13). Per correttezza va detto che questa non è una decimazione ufficiale, ma solo una proposta che andrà discussa con il territorio e con i sindacati. C’è già in programma un incontro ufficiale la settimana prossima per discutere il tema. Per il momento la società ha solo riportato nel libro nero quegli uffici che non hanno l’autonomia economica per stare in piedi. Tutto qui. Perché in fondo potrebbero esserci altre motivazioni per cui uno sportello dovrebbe invece essere mantenuto. Buone possibilità, infatti, ci sono perché rimanga aperto il riferimento di Bezzecca. Secondo la lista, infatti, la val di Ledro rischierebbe di perdere tre uffici su quattro, e il quarto (Molina) è addirittura a servizio ridotto oltre che poco strategico dal punto di vista geografico per servire tutta la vallata da poco unificata amministrativamente sotto il Comune di Ledro. Ma anche sugli altri la discussione è aperta. Legittimo chiedersi, però, quanto aperta, visto che l’opera di risparmio di Poste italiane è più che mai necessaria a fronte di costi sempre più alti e rese dettate ormai sempre più da prodotti finanziari più che dalle attività storiche delle poste, ormai non più strategici per una Spa. Il vero problema infatti sta in questa condizione ibrida di Poste che è una società per azioni (e quindi dovrebbe ragionare come tale) ed è anche una fornitrice di servizi pubblici che accanto ai criteri di economicità valuta pure quelli sociali. Di fatto è una situazione non risolta che ad ogni intervento di razionalizzazione scatena un dibattito molto spesso lasciato senza soluzione. L’ipotesi più accreditata per far coincidere le due esigenze è quella di trovare nuove competenze agli uffici postali, in modo da giustificarne la presenza. La capillarità è un punto di forza che potrebbe essere sfruttato dunque anche per agevolare i rapporti tra la burocrazia e i cittadini, posto che una razionalizzazione anche spinta sarà comunque inevitabile. Fino ad ora la discussione è rimasta ipotetica e diventa fase di confronto fra i Comuni che si trovano sempre più impoveriti di servizi, rischiando così di veder sparire fette di popolazione che si trasferisce là dove ci sono più uffici e più opportunità. Le stesse Poste hanno presentato come fattibile un progetto di passaggio di “operazioni” pubbliche agli uffici così ben distribuiti sul territorio. Per esempio diventare riferimento per consegna di moduli e pratiche o come centro di consultazioni catastali, o altro ancora. Il ragionamento potrebbe reggere in regioni a scarsa capillarità di servizi pubblici, in Trentino un po’ meno. La realtà locale vanta una diffusione ben distribuita, anche in termini di presenza fisica. Basta pensare alle Casse rurali o alle Famiglie cooperative. «Ecco perché dobbiamo pensare ad un modello innovativo - spiega l’assessore Mauro Gilmozzi - che può essere quello dell’integrazione. Non avrebbe senso salvare lo sportello comunale tanto per tenerlo aperto. Poi avremmo anche noi lo stesso problema del mantenimento. L’idea sulla quale si potrebbe lavorare è di valutare una sinergia che integri le varie esigenze con la necessità di tenere operativo un servizio fondamentale. Quindi da una parte si potrebbe studiare una sorta di convenzione, che ne so, con le Casse rurali affinché si assumano, in alcuni contesti, le funzioni delle Poste; dall’altra potrebbero invece essere le Poste ad assumersi compiti “pubblici” che giustifichino la presenza di un ufficio. Posto che si dovrebbe studiare per bene la possibilità giuridica di un passaggio di servizi dalle Poste a qualche altro soggetto, mi pare che sia questa la strada da perseguire. Quello che a noi interessa è il mantenimento del servizio, non tanto dello sportello in sè. Qualche protocollo d’intento in questo senso era anche stato firmato, solo che è necessaria la convinzione e la collaborazione di molti soggetti. Assieme alla Provincia dovrebbero muoversi anche Cooperazione e Comuni». Questo nuovo modello era stato proposto anche da Giorgio Lunelli attraverso una mozione che è stata approvata dal consiglio provinciale.

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