Le «peripezie» di Flavio Mengoni

Storia d'un democristiano d'altri tempi: «L'errore più grave? Dimettermi»


Luigino Mattei


TRENTO. Avrete letto la vecchia gag di Andreotti sulla prudenza di Degasperi. Sull’altare l’officiante gli chiede: Alcide, vuoi tu prendere per moglie la qui presente Francesca? E Degasperi con un soffio: «Non dico di no.» Beh, Flavio Mengoni è il contrario. Quando ha da dire una cosa, non è capace di tenerla per sé. Il guaio è che intinge la sua oratoria nel curaro. In un convegno nella sala della Cooperazione si rivolse dal podio Pierluigi Angeli con un innocuo "angeli deducant te in paradisum", ma riservò ad un altro dei suoi rivali un attacco sprezzante: "Vedi, caro... i tuoi errori grammaticali sono così macroscopici che ne è pieno anche il tuo silenzio."  A un altro presidente che era piccolo di statura (no, non cercate di indovinare, ce n'era più di uno) pronosticò che al suo funerale i becchini lo avrebbero insultato perché "essendo inadeguato anche alla bara", andava avanti e indietro sbilanciandone il peso. Con Angeli ce l'aveva perché Flaminio Piccoli, chiamato Mengoni al partito per le consultazioni sugli assessori, gli aveva detto: "Entra pure e dai un bacio ad Angeli perché si è ritirato". «E mi, mónega, son nà dentro e gò dat en baso». E s'era fidato al punto che stette su tutta la notte a preparare le dichiarazioni programmatiche per presentare la sua nuova Giunta. Perché della sua lunghissima militanza nella DC è questa sua "defenestrazione" che gli brucia ("e il modo ancor m'offende"). Non c'entra Stava. E non c'entrano i socialisti ("il mio era un programma di sinistra, dall'agenzia del lavoro al progettone, all'indennizzo per gli espropri..."). Tant'è che, quando l'editrice Il Mulino pubblicò "Trent'anni di autonomia" messo insieme da Marcantoni ed altri per l'Istituto Trentino di Cultura che ricostruiva quel passaggio politico attribuendolo ad una richiesta dei socialisti collegata a Stava, Mengoni intimò di ritirarlo dalla circolazione a scanso di querela.  "Quella è stata una faida tutta interna alla DC" conferma ancora adesso e a se stesso imputa solo la ingenuità di dare le dimissioni ("che nessuno poteva imporgli") per "facilitare le trattative" come gli fu chiesto. Ricorda Mengoni che il giorno di Stava era a colloquio col presidente Cossiga, suo compagno d'Università: quando entrarono ad annunciare la sciagura di Stava, Mengoni in quattro ore di macchina fu sul posto e trovando fermi i vigili del fuoco in attesa di ordini del ministro Zamberletti e Pastorello, li invitò a lasciare il primo piano del municipio di Tesero perché prendeva lui il comando delle operazioni "ope legis" (la competenza dell'autonomia) e "fortuna che i vigili ripresero subito a lavorare, altrimenti quella donna di Sardegna che estrassero nella notte, l'avremmo trovata morta".  La favola di Stava fu accantonata con un ordine del giorno che il comitato provinciale della DC votò all'unanimità. Il motivo di opposizione fu soppiantato di lì a poco con l'accusa di essere "poco collegiale". Lo spessore politico di Mengoni nessuno lo ha mai messo in dubbio. Di pari passo con il suo spessore culturale. Le leggi più innovative dalla programmazione economica completa di piano di sviluppo socio-economico ("che avrebbe completato il piano di Kessler che s'era fermato al piano urbanistico"), alla minima proprietà colturale, all'elezione diretta dei Comprensori (che ancora adesso si rimpiange: "mai vista tale scempiaggine di rifiutare la concessione di nuova autonomia da parte dello Stato" si adombra rievocando il ricorso giuridico della Valle di Cembra di Franco Paolazzi), sono scaturite da fitti appunti manoscritti su grandi block notes. Alcune grosse riforme sono ancor oggi in vigore, altre rimaste al palo («molti che hanno preceduto il loro tempo, devono attenderlo in locali umidi e scomodi» cita se stesso) hanno trovato eco in letteratura politica e del diritto di assoluto prestigio: nella rivista "La programmazione pluriennale della spesa pubblica" di Giorelli e Pola, Molino editore; "Politiche del lavoro. Occupazione e diritto" (sul disegno legge dell'Agenzia del lavoro del gennaio 1983) ecc. Altri in sedi altrettanto qualificate, come il suo discorso sulla qualità della vita distribuito ciclostilato ai sindaci (nel 1980!) e pubblicamente lodato dall'allora arcivescovo Alessandro Maria Gottardi agli esercizi spirituali nella chiesa di Sanzeno. O in atti legislativi che hanno di fatto saccheggiato i suoi atti preparatori dopo che si era consumato il suo accantonamento. Una cosa che gli fece dire nella discussione del disegno di legge sul riordino fondiario di avere assoluta serenità nel constatare che gran parte era tratta dai suoi elaborati anche se gli pareva di essere "nella condizione della ragazza madre alla quale, soprattutto in famiglia (leggi: la DC), si nega la soddisfazione della maternità". E pensare che in quello che dice in pubblico c'è solo un decimo delle considerazioni solitarie e inedite che stanno in libriccini tascabili pieni di aforismi che Mengoni tiene sempre a portato di mano. Per sé: per essere sicuro che forse gli altri avevano qualche ragione, ma di sicuro lui non aveva torto. Mi scappa l'occhio e leggo a proposito di un potente esponente DC col titolo «cerimoniale della delinquenza»: "Abbiamo concluso di comune accordo di restare nemici".













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