la storia

La vita slow di Gianna, che successo

La regina dell'agritur "El camin che fuma" ora è anche autrice di un almanacco delle stagioni di montagna che è già un successo


Elena Baiguera Beltrami


PRIMIERO. “La Gianna, rimarrà sempre la Gianna, con le sue pantofole, immersa nei profumi del suo maso, che per niente al mondo vuole abbandonare, nonostante tutto questo bailamme”. Con queste parole Gianna Tavernaro, autrice di un delizioso piccolo almanacco delle stagioni di montagna dal titolo “Le stagioni dell’animaso” (Storiedichi ed.), commenta un telefono che squilla in continuazione e lo straniamento di amici e conoscenti di fronte a tutto il gran parlare che si fa di lei del suo libro, del suo maso e della sua storia. Finito di stampare lo scorso gennaio, il libro, pubblicato da una esordiente casa editrice, con le illustrazioni di Chiara Banchini, la raccolta dei testi a cura di Germana Gabrelle e progetto grafico di Silvano Angelani, sta infatti ottenendo un grande successo di critica e lo hanno già recensito giornali nazionali quali Repubblica, Robinson, Io donna. Ma a cosa è attribuibile tutta questa attenzione? Sicuramente ad un’ottima campagna promozionale, ma non solo. E chi è in realtà Gianna Tavernaro?

Gianna è all’apparenza una trentina come moltissime altre, che con l’ambiente alpino vive da sempre in una sorta di simbiosi, prima a governar la stalla e a fare i formaggi a Malga Canali e ora, da sei anni ad accogliere i suoi ospiti nel piccolo agritur il cui nome è già tutto un programma: “El Camin che fuma”. In realtà la contraddistingue un desiderio irrefrenabile di narrazione, di piccoli aneddoti di vita vissuta e curiosità sulla natura e sui cicli vitali della montagna, che lasciano spiazzati per lo spirito di osservazione e la profonda conoscenza del contesto alpino.

Chissà ora quanti appuntamenti in giro per il Trentino a presentare il libro...

«Lo dico e lo ripeto, io qui sono e qui resto, con il mio Cornelio, i miei animali, i miei prati, i miei boschi e non andrò da nessuna parte. È vero, ci sono tante librerie che mi invitano in diversi luoghi del Trentino e anche qui nella mia valle insistono per creare un evento di presentazione del libro, ma io rispondo sempre che se vorranno potranno venire al maso. Potremo leggere alcuni capitoli del libro, per respirare tutti insieme il mio mondo. Scrivo nei momenti di tranquillità, per fissare nella memoria i ricordi, ma che, grazie a Giordana di Trentino Marketing e a Silvia Zanardi della casa editrice Storiedichi, sono confluite nel libro. Per me è stato tutto un divenire nel quale mi sono trovata coinvolta quasi inconsapevolmente. Una esperienza davvero entusiasmante, ma che non mi distoglierà dal mio lavoro al maso, dall’accogliere i miei ospiti, perché sono sempre stati loro i veri i destinatari dei miei racconti».

Quanti posti letto ha il maso? E qual è il target dei suoi clienti?

«Guardi, quando l’abbiamo acquistato cercavamo un posto tranquillo dove passare la vecchiaia con mio marito Cornelio, non troppo distante dalla statale in località Domadoi, sulla strada verso passo Cereda. Dopo tanto lavoro a malga Canali avevamo bisogno di cambiare un po’ stile di vita, abbiamo trovato questo maso, niente di particolarmente pregiato, ma abbiamo ricreato un ambiente intimo e gradevole, dove dopo gli amici sono arrivati anche turisti da tutta Italia, con il passaparola, ho sempre pensato che siano le persone a delineare le caratteristiche dei luoghi. L’attività a malga Canali l’abbiamo lasciata alle nostre figlie, le quali continuano nel nostro lavoro e questo per noi è motivo di orgoglio, perché rimangono nel territorio e continuano nel solco della tradizione che noi abbiamo tramandato».

E ora come gestirà tutta questa notorietà improvvisa, come scrittrice e come regina del “Camin che fuma”?

Come sempre, come facevo prima, oltre a ciò che ho scritto nel libro, ho ancora moltissime cose da raccontare, da spiegare, ad esempio particolarità delle erbe alpine, dove nascono e il motivo per il quale si trovano proprio in quel luogo. Lo zaino che porto con me è ancora molto ricco di ricordi, di uno spaccato di vita e di lavoro che mi è rimasto nel cuore. Le mucche, ad esempio, a volte mi mancano moltissimo, d’estate abbiamo soltanto capre e pecore, mentre d’inverno galline e conigli, ma il vero lavoro in malga sono le mucche, per le quali non guardi la fatica, non guardi mai gli orari, non pensi alle vacanze. Forse si tratta di quel qualcosa che è entrato nel nostro DNA e che là intende restare».

 













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