La vedova del maresciallo e la lotta alla burocrazia

Per colpa di una visita sbagliata la donna non riceve la pensione di reversibilità. E ora l’Inps le scrive che il marito (morto) deve sottoporsi ad un nuovo controllo


di Luca Petermaier


TRENTO. La burocrazia è un po' come la sfortuna: sembra cieca, ma quando si deve accanire contro qualcuno pare ci veda benissimo. Lo conferma la storia che stiamo per raccontare, un misto di dramma e mala-amministrazione di cui è protagonista da qualche mese la moglie di un maresciallo dei carabinieri di Trento.

Nell'estate del 2011 al maresciallo – neanche quarant'anni – viene diagnosticato un cancro al cervello. La moglie, viste le condizioni del marito, decide di sottoporlo a visita medica militare in modo da far dichiarare la totale inabilità al lavoro. Si avvia così un complesso iter burocratico che (forse per colpa dei militari o forse per responsabilità dell'Inpdap, ora Inps) porta il povero maresciallo davanti ad una commissione medica non competente, quella ospedaliera di primo grado che esamina soltanto i casi relativi a possibili inidoneità al servizio e non quelli, molto più gravi, relativi all'inabilità totale al servizio, esaminati invece dalla commissione di secondo grado. La differenza, al di là delle parole, è sostanziale: nel primo caso l'inidoneità al servizio conduce al riconoscimento di una pensione di invalidità minima, nel secondo caso invece la pensione che viene riconosciuta arriva ad essere calcolata come se l'interessato avesse lavorato 40 anni. Pur riconoscendosi incompetente, la commissione dichiara comunque l'inidoneità totale del maresciallo, in applicazione della legge 335 del 1995, con il risultato di far ottenere al militare una pensione di circa 20 mila euro (lordi) l'anno.

Nel marzo di quest'anno, però, il maresciallo perde la sua battaglia e il cancro al cervello se lo porta via. La moglie informa l'Inps (ex Inpdap) per ottenere la reversibilità della pensione che – dopo le verifiche burocratiche – viene concessa, ma calcolata solo su quanto effettivamente versato e non in applicazione della suddetta legge. Differenza notevole per le finanze della neo-vedova: da 20 mila euro si precipita a 8 mila all'anno.

La donna si affida ad un avvocato (Chiara Pallaoro di Trento) e chiede l'applicazione della legge 335 e dunque il massimo della pensione, ma l'Inps risponde picche motivando che il marito venne visitato da una commissione non competente a concedere una pensione così elevata. Ovviamente non fu una scelta del maresciallo quella di farsi visitare dalla commissione sbagliata, ma di questo né Inpdap né ministero della difesa sembrano interessarsi, con il risultato di un imbarazzante rimpallo di responsabilità che lascia la vedova senza strumenti di difesa.

Non bastasse il danno, come spesso accade la burocrazia c'ha voluto infilare anche la beffa. A maggio e a giugno di quest'anno, infatti, la moglie e la figlia (in quanto eredi del militare) si vedono recapitare una lettera spedita loro per conoscenza e destinata in realtà alla commissione medica di secondo grado nella quale – sembra incredibile – per ben due volte l'Inps invita la commissione stessa a voler sottoporre a visita medica il maresciallo, pur indicando nella stessa missiva che lo stesso è deceduto nel marzo del 2012.

Il risultato è che ad oggi la vedova si ritrova con una figlia da mantenere, il mutuo della casa da pagare e una pensione di 8000 euro lordi l'anno anziché i 20.000 di cui avrebbe diritto se qualcuno, ma non si sa chi, avesse svolto con scrupolo il proprio lavoro.













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