La protesta contro il premier finisce a botte, fischi e spinte

Spostati di peso i manifestanti che erano stesi a terra per non far passare il corteo presidenziale


Ubaldo Cordellini


TRENTO. Non se l’aspettava, Romano Prodi, di essere braccato così nella patria della Margherita. Non se l’aspettava di dover quasi fuggire dall’auditorium Santa Chiara inseguito dalle urla dei contestatori, con la polizia in versione antisommossa che a malapena tiene a bada una piccola folla inferocita. I «No dal Molin», il movimento contro la costruzione della base americana di Vicenza Ederle 2, hanno teso al presidente del Consiglio una vera e propria imboscata. Sembrava una protesta alla buona, con tanto di mestoli battuti sulle pentole per far rumore. Invece è stato un vero e proprio agguato mediatico studiato nei minimi dettagli e finito con la polizia costretta a sollevare di peso una trentina di manifestanti che si erano stesi davanti alla porta carraia del centro Santa Chiara che dà su via Piave per impedire il passaggio del corteo presidenziale. Ci sono stati anche tre feriti: il capo della Digos, il commissario Francesco Tedesco, è finito sotto l’Audi A8 di Dellai riportando lo schiacciamento del piede con 5 giorni di prognosi. L’ha salvato uno dei leader della protesta, il trentino Donatello Baldo, che l’ha tirato per un braccio quando ha visto la potente berlina puntare dritta sul funzionario. Piede schiacciato anche per un poliziotto del reparto mobile di Padova e per un contestatore vicentino, un signore di mezza età, Angelo, che nel primo pomeriggio è tornato a casa in pullman.

I manifestanti, circa trecento persone tra «No Dal Molin», Centro sociale Bruno e No Tav, si erano organizzati alla perfezione. Da Vicenza erano arrivati almeno in duecento con tre pullman e con mezzi propri. Quaranta, proprio lo stesso numero dei greci entrati nel cavallo di Troia, erano pronti per la missione più difficile: riuscire ad entrare in sala e contestare Prodi mentre parlava. Ci sono riusciti. Sono entrati in sala beffando il servizio d’ordine e hanno contestato sonoramente il premier. Da quattro giorni nessuno di loro aveva contatti con gli altri. Sono arrivati la mattina presto, in giacca e cravatta, e si sono messi in fila ordinatamente. Erano tutti insegnanti, studenti, ingegneri in pensione vestiti in giacca e cravatta agli ordini di una casalinga con gli occhiali dalla montatura rossa, Cinzia Bottene, che poi è salita sul palco del Santa Chiara a rimproverare Prodi per le promesse non mantenute. Avevano nascosto nelle mutande la bandiera con la scritta «No Dal Molin», il disegno di un aereo da guerra nero su sfondo rosso sbarrato al posto della «O». Al momento giusto l’hanno tirata fuori agitandola e gridando: «Vergogna, Vicenza non si vende».

Nel frattempo, all’esterno dell’auditorium, i manifestanti accampati nel giardino davanti all’ingresso continuavano ad urlare e a gridare gli slogan. Molti erano saliti sulla tettoia sopra all’ingresso stendendo un grande striscione. Poi, obbedendo ad una regia evidentemente studiata con attenzione, si sono divisi in quattro gruppi, bloccando tutte le possibili uscite. Un gruppo è rimasto nel giardino, un altro si è messo davanti all’uscita pedonale di via Santa Croce, un altro ancora si è fermato nel parco Santa Chiara e l’ultimo, il più numeroso, è andato in via Piave, davanti alla porta carraia. Prodi era entrato puntuale a mezzogiorno proprio da quella porta e la sua Lancia Thesys blindata era parcheggiata nei pressi. Baldo, del centro sociale Bruno, rivela che da giorni a Vicenza stavano studiando le foto satellitari della zona per individuare i punti deboli delle eventuali difese. C’era anche un servizio di staffette in bicicletta che ha seguito i movimenti di Prodi dal suo arrivo in Provincia, prima tappa in città. E sì che non c’era nessuna zona rossa. L’apparato di sicurezza era nutrito, ma volutamente soft. Forse troppo per Dellai che, alla fine, ha detto in modo scherzoso al questore Angelo Caldarola: «Adesso la rimuovono come Speciale», sentendosi rispondere con un’altra battuta: «Ma io alla Corte dei Conti ci andrei».

L’auditorium, però, si è trasformato in una trappola. Con tutte le uscite presidiate, la scorta ha deciso di percorrere la strada dell’andata. A questo punto c’è stato il problema di far alzare i manifestanti che si erano seduti sulla porta carraia. Gli agenti del reparto mobile di Padova hanno indossato i caschi e si sono dati da fare. La scena era surreale. I poliziotti cercavano in ogni modo di trascinare via i manifestanti, ma questi non si muovevano, incitati a non reagire, da una maestra vicentina oriunda argentina, Nora Rodriguez, che si era impossessata dell’alto parlante e incitava alla non violenza. Nei giorni scorsi, i manifestanti avevano seguito addirittura dei corsi per imparare come comportarsi. I poliziotti ci hanno messo un quarto d’ora per liberare la carraia e far entrare a fatica le macchine del corteo. E’ volato anche qualche schiaffo. Qualcuno ha perso la calma, ma è stato prontamente allontanato dalla prima linea. All’uscita, mezz’ora dopo, stessa scena. Con le auto blu che sgommavano calpestando piedi quà e là e i manifestanti che cantavano vittoria.













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