l'intervista

La professoressa che con il teatro apre il carcere ai suoi studenti

Anna Fioravanti insegna al liceo psico-pedagogico di Trento e ha avvicinato i suoi studenti al mondo dei detenuti e al palcoscenico


Luciana Grillo


TRENTO. Anna Fioravanti è insegnante di lingua e letteratura inglese presso al Liceo Psico-pedagogico di Trento. Che ha proposto agli studenti un percorso di inclusione rispetto al mondo dei detenuti attraverso il teatro.

Lei è un’insegnante, per scelta o per necessità?

Insegnare mi piace: ho iniziato per passione. Trovo sia molto bello condividere ciò che si ama con altre persone. L’aspetto più importante del mio lavoro è legato al rapporto umano con i ragazzi.

Da quanti anni insegna?

Da dodici anni. Da quest’anno sono in servizio al Liceo Rosmini di Trento, ma quando ero precaria ho lavorato in quasi tutte le secondarie di primo e di secondo grado della città.

Si è parlato molto dell’iniziativa che ha realizzato per avvicinare il mondo degli studenti al mondo dei detenuti e del teatro. Ce ne parla?

Penso di aver semplicemente creduto in un progetto e di averlo portato avanti con passione ed entusiasmo: l’ho proposto al mio dirigente, Stefano Kirchner, e lui ha detto sì. Ci tengo a chiarirlo, perché non tutti i Dirigenti sono aperti a un progetto di questo tipo. Ciò mi ha sicuramente motivata a dare il massimo.

Qual era l’idea di partenza?

L’idea era di parlare di inclusione senza pregiudizi, perché questa parola racchiude tante sfaccettature, ma noi ci fermiamo spesso a quella più vicina. Il 19 dicembre scorso, oltre 130 studenti hanno assistito a un incontro sul tema del Teatro in carcere tenuto da Roberto Rinaldi – giornalista e psicologo, autore della tesi “Teatro dentro le mura. Un varco verso una società inclusiva” (università di Padova, dipartimento di Filosofia) – e da Vincenzo Fagone, detenuto in regime di semilibertà, con contratto di lavoro all’esterno, ex attore della Compagnia della Fortezza della Casa di reclusione di Volterra. Studenti e studentesse hanno partecipato con entusiasmo. Per quanto mi riguarda, ho svolto con ciascuna delle mie classi un percorso che permettesse di ascoltare senza pregiudizi: purtroppo siamo spesso pronti a etichettare in modo negativo l’altro da noi, il “diverso” insomma, ma troppo poco ad accogliere le differenze. Vincenzo Fagone si è messo in gioco, dimostrando grande umiltà; credo che i pregiudizi vengano meno quando davanti a te non c’è un’etichetta, ma un essere umano.

Il teatro come strumento di inclusione?

Sì, è stato interessante sentir parlare di buone pratiche di inclusione, quali il teatro in carcere. Gli interlocutori ci hanno parlato dell’importanza di lavorare dentro il carcere, ma soprattutto di trovare un lavoro fuori per (ri)conquistare la propria dignità e la fiducia in se stessi e negli altri. Fagone, che questo percorso lo ha fatto, condivide la sua esperienza personale con altri, e offre parole ed esempio di speranza. Ai ragazzi e a me è piaciuto molto ascoltarlo, perché ha raccontato un viaggio, che sicuramente non è stato facile intraprendere, a lieto fine. Forse si parla troppo spesso di ciò che non funziona e troppo poco di ciò che funziona.

Come è riuscita a coinvolgere gli studenti?

Credo non sia difficile coinvolgere e motivare gli studenti quando percepiscono che ciò che stai proponendo loro è significativo, anche se si tratta di tematiche dolorose e difficili. Tra gli argomenti che ho trattato, ci sono la Dichiarazione dei Diritti Umani, la pena di morte, la punizione, l’errore, ma anche l’inclusione. Ho svolto con ciascuna delle mie classi un percorso su questi temi che fornisse informazioni concrete e che permettesse di ascoltare le parole dei nostri interlocutori senza pregiudizi. Per questo, ho anche usato la creatività. Penso infatti che se impariamo a conoscere e riconoscere il nostro valore, non abbiamo paura di quello altrui.

Che importanza può avere secondo lei la conoscenza delle attività teatrali per le/gli adolescenti?

In generale, credo che il teatro sia uno strumento molto efficace per conoscere sé stessi e gli altri, e ciò è stato detto più volte durante la conferenza. Fagone ha raccontato che i detenuti leggevano opere di teatro, anche Shakespeare, fino quasi a impararle a memoria e ne estrapolavano frasi significative: la letteratura “replica” la vita. Per quanto riguarda il fare teatro in carcere, penso sia importante per gli adolescenti sapere che questa è anche una modalità di riabilitazione. Ai detenuti viene offerta la possibilità di frequentare dei corsi di studio e penso che per gli adolescenti è buona cosa riflettere sull’importanza della scuola e dello studio guardando attraverso gli occhi di persone diverse da loro – nel caso della conferenza si trattava di adulti non liberi che devono riconquistare un rapporto positivo e propositivo col mondo esterno.

Ha notato differenze di interesse tra alunni e alunne?

Onestamente no. Sono molto orgogliosa della volontà che studentesse e studenti hanno mostrato di mettersi in gioco per capire e approfondire.

Crede che dopo un’esperienza come questa, negli studenti e nelle studentesse prevalga interesse per il sociale o per il teatro?

Per il teatro forse no. Più per il legame fra letteratura e vita: diversi studenti con la passione per la lettura sono soliti scrivere o fotografare le frasi significative che leggono. Questa pratica condivisa con i detenuti ha incuriosito molto i giovani presenti. Sono sicura che la prossima volta, se troveranno una frase che risuona dentro di loro, avranno una consapevolezza differente. Quanto all’interesse per il sociale direi che c’era già, ma che a volte risulta non avere una direzione perché ci sono tante idee, ma non sempre ordinate. Questo incontro è stato significativo soprattutto per aprire il cuore e la mente e per domandarsi “Cosa posso fare io nel concreto?” Molti studenti ne hanno parlato a casa e con gli amici e trovo sia un ottimo inizio.

Dal punto di vista umano, cosa crede che rimanga in questi giovani?

Prima di tutto, la grande umanità di Vincenzo Fagone. I ragazzi hanno apprezzato la sincerità delle sue risposte e le sue parole di speranza. C’è poi la voglia di continuare a informarsi e di non fermarsi alle apparenze. Fagone ha raccontato che fare l’attore lo ha aiutato a capire che tutti i ruoli sono importanti e che tutti gli attori contribuiscono alla riuscita dello spettacolo. Credo questo sia stato significativo per i ragazzi che sono troppo abituati a fare confronti fra loro in termini di valutazione numerica e troppo poco ad autovalutare il percorso personale di ciascuno. La scuola non dovrebbe essere una gara a chi vince, ma un percorso condiviso con persone che ti supportano.

Credo che per lei ci sia stato tanto lavoro, ma anche tanta soddisfazione. Quali progetti vuole portare avanti ora?

Sì, onestamente c’erano tanti aspetti dei quali occuparsi per rendere possibile l’incontro. È stato un impegno faticoso, ma stimolante, anche perché quando vivevo a Londra mi occupavo di organizzare eventi. Ma mi è difficile parlare di progetti: nella mia testa ci sono sempre tante idee, troppe per elencarle tutte. Il prossimo progetto in ordine di tempo è una collaborazione con una scuola estera.

 













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