sanità

La fuga dei pazienti ci costa 18 milioni

In passivo il bilancio fra i trentini che vanno a farsi curare fuori provincia e i pazienti extraregionali che si rivolgono alle nostre strutture ospedaliere


di Matteo Ciangherotti


TRENTO. I cittadini trentini preferiscono farsi curare fuori Provincia. Il divario tra i pazienti che scelgono il Trentino come meta sanitaria e quelli che invece emigrano oltre i confini provinciali è netto. E ciò che più preoccupa la sanità trentina - e le sue casse - è l’incremento anno dopo anno di questa tendenza negativa.

Le frontiere sanitarie sono ormai aperte e ogni paziente ha piena facoltà di decidere dove ricoverarsi, dove farsi operare, dove effettuare una visita specialistica. Ma sono le tariffe, i costi di queste prestazioni extra-regionali a mettere in bilico i conti, anche perché non sono affatto unificate. Ogni azienda sanitaria applica le proprie tariffe sul ticket e, in particolare, sui rimborsi che vengono chiesti all’Asl di appartenenza del paziente. Rimborsi che salgono in percentuale. E, ironia della sorte, tra le percentuali più alte figurano quelle applicate dalla Provincia di Bolzano, una tra le mete più ambite dai pazienti trentini.

Nel 2013, secondo il bilancio di missione appena pubblicato dall’Apss di Trento, gli importi a credito (gli incassi) derivanti dalla mobilità attiva – prestazioni sanitarie erogate da strutture del Servizio sanitario provinciale a favore di assistiti da altre Regioni – sono pari a 44,9 milioni di euro quando, dall’altra parte, gli importi a debito (i costi) dovuti a fronte delle prestazioni di mobilità passiva – fruite da assistiti del Servizio sanitario provinciale presso Strutture di altre Regioni – raggiungono i 62,8 milioni di euro, con una forbice passiva di quasi 18 milioni di euro. Non sono briciole se consideriamo che i denari da recuperare dalla sanità trentina sono circa 50 milioni di euro. Poco meno della metà, dunque, potrebbe arrivare da un sistema sanitario che costruisca intorno ai propri cittadini maggiore fiducia, fornendo prestazioni specialistiche all’avanguardia (non soltanto dal punto di vista del personale medico ma anche per quanto riguarda l’adozione di macchinari ad alta tecnologia) e convincendoli, così, a non emigrare verso Asl fuori Provincia. Anzi, ribaltando in qualche modo il trend – e pur considerando la particolarità del territorio con valli limitrofe al Veneto e alla Provincia di Bolzano (allora perché, però, in questi casi non fare almeno un accordo speciale sulle tariffe?) -, il divario potrebbe ipoteticamente spostarsi verso un valore positivo, senz’altro utile a recuperare parte delle risorse.

Rispetto al 2012 la mobilità attiva è scesa di 710 mila euro (-1,55%) mentre quella passiva è ulteriormente salita di 650 mila euro (+1,05%). In pratica, in un anno, si sono persi circa 1,4 milioni di euro alimentando ancora il saldo negativo.

Né il direttore dell’azienda sanitaria Luciano Flor né il governatore Rossi sembrano essere troppo soddisfatti della situazione. Tant’è vero che lo stesso Rossi, pochi giorni fa di fronte a dirigenti provinciali e sanitari, ha dichiarato come le nuove azioni in materia (sul banco il Piano per la Salute 2015-25) dovranno avere anche «un forte impatto sotto il profilo della competitività e del valore economico». Ci sono numeri da invertire e denari da recuperare.

Le regioni più interessate dalla mobilità passiva sono in testa il Veneto (48,18%), seguono poi provincia di Bolzano (21,68%), Lombardia (18,83%) ed Emilia Romagna (5,50%). Le attività che maggiormente presentano un aumento negli addebiti sono i ricoveri (per i quali si spendono quasi 48 milioni di euro, +295 mila euro rispetto al 2013), la specialistica ambulatoriale (8 milioni e mezzo la spesa complessiva, +123 mila euro) e la somministrazione di farmaci (4,8 milioni in totale con un +266 mila euro).













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