L'INTERVISTA gianni bonvicini istituto affari internazionali 

«L’Occidente incapace ha lasciato soli i Curdi» 

L’analisi L’operazione militare di Erdogan in Siria aumenta l’instabilità e favorisce gli jihadisti Il consigliere trentino dello Iai: «Così si aggiunge caos a una situazione già compromessa»


DANIELE ERLER


TRENTO. La Turchia ha iniziato l’offensiva contro i curdi, con i bombardamenti a nord della Siria. È l’inizio di una guerra che vede contrapposti un Paese della Nato e il principale alleato americano nella lotta contro l’Isis. È anche un ulteriore elemento di crisi, nella polveriera del Medio Oriente e nella culla del terrorismo jihadista. Quali conseguenze può avere tutto questo nel contesto internazionale? Ne abbiamo parlato con Gianni Bonvicini, trentino di origine e consigliere scientifico dello Iai, l’Istituto di affari internazionali.

Bonvicini, Erdogan ha spiegato che questo attacco è un’operazione per mettere in sicurezza il confine a sud della Turchia. Quanto c’è di vero e quanto influisce invece la politica interna?

Ci sono vari elementi che convivono. La questione curda è da sempre un problema nazionale per la Turchia e lo è ancora di più negli ultimi tempi. È evidente che la lotta contro i curdi porta a un grandissimo consenso interno. Ma non c’è solo questo. Erdogan è interessato a estendere le frontiere della Turchia verso sud. Per lui non c’è niente di meglio che allargarsi verso la Siria, un Paese che è completamente instabile. Secondo gli analisti, in questo modo riuscirebbe anche a spingere i curdi siriani verso sud, impedendo loro di congiungersi con i curdi della Turchia. Così si indebolirebbe la prospettiva di una grande nazione curda: un’ambizione che deriva ancora dalla Prima guerra mondiale. C’è poi un terzo elemento. Ci sono gli immigrati siriani che si sono riversati verso la Turchia. Un problema sempre più sentito, visto che negli ultimi anni c’è stato un calo notevolissimo dell’economia turca.

I movimenti jihadisti sono abituati a sfruttare a proprio vantaggio le situazioni di crisi. Che conseguenze può avere tutto questo a livello internazionale?

È evidente che un intervento alle frontiere è foriero di ulteriore instabilità. Aggiunge caos in un contesto già compromesso. Ci sono tanti elementi che insieme contribuisco precarietà al futuro della Siria: la questione curda, il tentativo di Assad di rimettere insieme i cocci di un Paese alla deriva e la presenza del terrorismo, sia di Al Qaeda sia di Isis. Ma la mia sensazione è che questa sia solo una parte della generale instabilità del Medio Oriente.

E in questo contesto c’è da considerare anche la reazione internazionale. Trump prima ha ritirato le truppe, poi ha definito la mossa militare di Erdogan come una “cattiva idea”.

Il comportamento di Trump è a dir poco schizofrenico. Non si riesce davvero più a capire cosa abbia in testa questo Presidente: cambia idea ogni ora, sta creando imbarazzo anche all’interno del suo partito. L’incapacità di avere una linea ben precisa sulla questione medio-orientale, e su quanto potrebbe succedere in Siria, non fa altro che indebolire la posizione dell’Occidente. Anche l’Unione europea è incapace di dare risposte concrete alla crisi e non può minacciare ad esempio delle sanzioni: anche perché è sotto ricatto. C’è sempre la minaccia dei profughi che la Turchia potrebbe riversare verso l’Europa. È evidente che l’Occidente non c’è e non ha una politica su questa questione. In compenso ci sono altre potenze: come la Russia, la Cina e l’Iran. Da tutto questo caos e dall’incapacità occidentale traggono molti vantaggi.

Da una parte c’è uno degli eserciti più potenti della Nato, dall’altra ci sono i miliziani curdi. L’esito del conflitto è scontato?

In realtà i curdi sono degli straordinari combattenti. Li abbiamo visti in azione contro l’Isis, ma non solo: prima hanno agito in Iraq. In generale, non sono facilmente domabili. Ma hanno una difficoltà storica: sono divisi fra di loro. Difficilmente i curdi siriani saranno aiutati dai curdi turchi. Ma saranno comunque un osso molto duro per Erdogan. Sta portando avanti un’operazione rischiosissima.

Ha la sensazione che l’opinione pubblica occidentale sia schierata a favore dei curdi?

Non credo, il sostegno c’è, ma è solo minoritario. I curdi non sono percepiti come un interesse prioritario dall’Occidente. Non penso ci saranno grossi movimenti d’opinione contro la guerra. Anche perché gli Stati Uniti, o gli Stati europei, non sono impegnati direttamente nelle operazioni militari.













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