L’incubo di una giovane: «Mia madre mi perseguita»

Trentenne “assalita” in casa e nei negozi dove lavorava: «Mi diceva che non ero più sua figlia, mi offendeva e telefonava 15 volte al giorno. Sono finita in cura»


di Luca Marognoli


TRENTO. Telefonate e messaggi assillanti, anche 10-15 al giorno. Improvvise “imboscate” con sfuriata nell'appartamento della figlia, costretta a cambiare due volte la serratura. Blitz all'interno della sua auto, quando era in sosta al parcheggio, o nei due negozi che la giovane, una trentenne, gestiva a Trento e in un'altra località. E parole, tante parole terribili: «Non sei più mia figlia, sei una ladra, una falsa, ti vesti come una puttana...».

Molestata dalla madre, la vita della commerciante, che chiameremo Giovanna, era diventata un incubo animato dalla donna che le aveva dato la vita e che oggi l'accusava di avere rovinato la sua per il solo fatto di essere in buoni rapporti con la nuova compagna del padre, che era anche sua collega in affari. «Adesso lo vuoi tutto per te, ma se sto male è tutta colpa della tua amica...», avrebbe insistito la cinquantenne.

E' raro assistere a un processo per stalking dove siano coinvolte soltanto donne: l'imputata, accusata di atti persecutori, e le due parti offese, la figlia e la fidanzata del marito, dal quale si era separata. Quest'ultima, secondo l'accusa, sarebbe stata anche minacciata con un taglierino. Ieri mattina però la protagonista è stata la trentenne, che in aula ha raccontato la sua esistenza tormentata dalla madre, proprio mentre lei, seduta sotto il banco dei testimoni, assisteva silenziosa al suo racconto straziante.

Due anni di “battaglia” quotidiana, dal 2008 al 2010, e un rapporto che dalla sudditanza è diventato di terrore, ha detto la giovane. «“Sono contenta che ti portino via la casa”, mi aveva detto un giorno, dopo essersi presentata in negozio. Mi era arrivato un atto di pignoramento ma per colpa sua. Ci siamo offese a vicenda e Stefania (nome di fantasia della convivente del marito, ndr) ha dovuto trattenerci perché non ci mettessimo le mani addosso».

In una circostanza – ha aggiunto la trentenne – sarebbe stata coinvolta anche la sorella che all'epoca aveva 14-15 anni. «L'ha portata via da casa mia prendendola per un braccio e poi fatta salire sulla sua macchina. Noi abbiamo passato tutta la sera ad inseguirle. Le diceva: “Dimmi che vuoi più bene a me, altrimenti mi schianto contro un muro”».

Rispondendo alle domande dell'avvocato di parte civile, la commerciante ha spiegato anche quali sono state le conseguenze sulla sua salute. “Ansia, timore, malessere. Sono finita diverse volte al pronto soccorso. Una volta, dopo una telefonata con lei, ero stata colpita da una crisi di panico mentre ero alla guida. È venuta a prendermi l'ambulanza. Diverse volte, avvisata da amici con cui dovevo uscire che lei era in giro, ho preferito rimanere a casa. Il suo pensiero mi dà la tachicardia. Tutte le volte che sento rumore di tacchi mi giro per controllare che non sia lei». Sollecitata dal giudice Marco La Ganga, Giovanna ha detto di essersi affidata al sostegno di uno psicologo e di avere preso psicofarmaci e pastiglie contro l'emicrania.

Il processo, sospeso, riprenderà il mese prossimo.

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