Informazioni ai detective: arrestati uomini in divisa 

L’investigatore privato Delmarco avrebbe pagato carabinieri, finanzieri e poliziotti per accedere al cervellone delle Forze dell’ordine. In 8 ai domiciliari 


di Francesca Quattromani


TRENTO. Forze dell’ordine corrotte smascherate dalle conversazioni su Telegram e WhatsApp: i carabinieri di Trento hanno “aperto” i cellulari anche senza il codice Pin. Otto gli arresti, 7 le denunce; carabinieri, agenti della polizia, uomini della finanza delle province di Roma Foggia e Bolzano erano al soldo dell’agenzia di investigazione privata Delmarco, con sede legale a Bolzano.

Secondo l’accusa, in cambio di un compenso, uomini in divisa sfruttavano le proprie credenziali per l’accesso al portale interforze del sistema di indagine per poi passarle all’agenzia. Gli agenti fornivano così dati sensibili che poi l’agenzia investigativa utilizzava per i propri casi. L’illecito passaggio di informazioni riguarda anche un altro beneficiario, l’agenzia investigativa Matrix di San Martino Buonalbergo, a Verona. Al momento queste sono ipotesi investigative visto che siamo ancora in fase di indagini preliminari.

Gli arrestati sono ai domiciliari su ordine del Gip Marco La Ganga. Arrestato il titolare dell’agenzia investigativa Mauro Delmarco, ex poliziotto di Cavalese; la sua agenzia, che ha sede legale a Bolzano, è da ieri posta sotto sequestro. Arrestato il titolare dell’agenzia investigativa Matrix di San Martino Buonalbergo, Matteo Zanboni, 49 anni di Verona; la sua agenzia veronese non è stata, al momento, sequestrata. Gli altri arrestati sono: Cristian Tessadri della Gdf di Bolzano, 48 anni bolzanino; Rossana Romano, 49 anni di Bolzano e Peppino Spagnuolo, 60 anni di Bolzano, entrambi sono poliziotti; lui in pensione, lei in servizio, sono conviventi; Andrea Cervelli, 55 anni di Padova, tecnico informatico; Carmelo Carone, 41 anni di Taranto, Rosolia Luigi, classe ‘64 di Roma, entrambi carabinieri a Roma; da rintracciare un collaboratore di Delmarco. Sette le persone denunciate per concorso in accessi abusivi a sistemi informatici. Si tratta di soggetti incensurati che avevano collaborato, a vario titolo, con Delmarco o che, sotto compenso, gli avevano chiesto di acquisire informazioni illecitamente.

Le indagini. A dare inizio alle indagini nel Nucleo investigativo dei carabinieri di Trento è stata la denuncia di una donna di Predazzo, alle prese con la separazione dal marito, un ex poliziotto trentino. La donna, nelle proprie abitazioni, a Predazzo e in Sardegna, si era trovata una cimice. Non solo, sul cellulare del marito aveva trovato anche delle foto di cui lui non poteva essere in possesso, se non attraverso vie a lei, evidentemente, sconosciute. La donna si era rivolta ai carabinieri di Cavalese, loro avevano scoperto che, dietro quel materiale, c’era la Delmarco. La vicenda aveva insospettito il Nucleo Investigativo dei Carabinieri. Era iniziata così un’attività telematica specifica di alto livello, che aveva preso le mosse dalla perquisizione dell’agenzia investigativa con sede legale a Bolzano. In seguito alla perquisizione erano stati trovati dei cellulari e, nel sistema informatico dell’agenzia, numerosi file audio. Perquisita l’abitazione di Delmarco a Cavalese.

I cellulari. Nella sede della Delmarco sono stati trovati dei cellulari protetti da Pin. I carabinieri di Trento sono riusciti a sbloccarli anche senza il codice, svelando così delle conversazioni su Telegram e WhatsApp. In queste conversazioni era testimoniato il passaggio di dati sensibili provenienti dal sistema centrale delle forze dell’ordine. Il sistema è accessibile agli agenti operativi in tutta Italia. Servono dei codici d’accesso. Ogni volta che un agente entra in questo sistema ne resta traccia, per sempre. Data, ora, tipo di informazione richiesta, tutto resta. Delmarco era già stato perquisito. A Bolzano, un’altra donna aveva scoperto di essere stata registrata. Dall’indagine sulle conversazioni telefoniche si è appurato che le talpe, le forze di polizia, erano in combutta.

Decine i casi contestati. Le ipotesi di reato sono: corruzione (da 6 a 10 anni); istigazione alla corruzione (da 2 a 5 anni); accesso abusivo a una rete informatica aggravato (si tratta di pubblici ufficiali, la pena va da 3 a 9 anni); rivelazione del segreto d’ufficio (fino a 5 anni di reclusione). Per questi reati procede la Direzione Distrettuale Antimafia. La dottoressa Maria Colpani ha coordinato ogni fase della complessa indagine condotta dal Nucleo Investigativo dei carabinieri di Trento su disposizione della Procura.

Informazioni in cambio di denaro. Le cifre che gli agenti prendevano in cambio di informazioni erano, in media, 300 euro; qualcuno guadagnava anche 1400, 2000, 450 euro. Le indagini sono cominciate nel luglio del 2016 e si sono concluse un anno dopo. Il capitano Andrea Oxilia, che ha coordinato le operazioni di alta conoscenza informatica, ha parlato di un’ indagine delicata, citando l’ordinanza dottor La Ganga: «Questi favoritismi, serviti su un piatto d’argento alla agenzia investigativa, avvenivano grazie alla condotta corrotta di questi uomini in divisa che consentivano all’investigatore di avere la più ampia disponibilità del bagaglio investigativo di informazioni riservate: velocità nell’acquisizione di informazioni medesime e garanzia di attendibilità delle stesse. L’agenzia poteva essere così concorrenziale: possedeva i dati provenienti dalle forze dell’ordine: poteva garantire al cliente una velocità di risposta in caso di tradimenti, infedeltà coniugali, verifiche fiscali. Questi dati, però, possono essere resi noti solo in forza di motivi stabiliti dalla legge, se non nell’ambito di indagini della polizia giudiziaria».

Il Procuratore Sandro Raimondi, ha detto: «Le ricadute sono pesanti, si può alterare il corso di un procedimento civile, di separazione o divorzio e quindi c’ anche una “frode” nei confronti della giustizia, dal momento che il giudice valuta sulla base di pesi che sono squilibrati. Il crimine informatico è ormai il passato prossimo. Sul web si consumano crimini un tempo impensabili. Ora le indagini riguardano il dark web, dove si trova di tutto: armi droga, organi. È uno scenario al quale dobbiamo abituarci». Dunque, in questa operazione, è sto più volte rimarcato «l’impegno eccezionale da parte dei tecnici informatici del Nucleo Investigativo, che sono riusciti a violare qualcosa di inaccessibile come i cellulari. Duro l’affondo del colonnello Luca Volpi: «È stato violato un sistema sensibile, che nasce nell’ambito dell’antiterrorismo. Sono dati che, impiegati in altre maniere, possono nuocere, alterando i processi per reati nell’ambito dei quali procede la direzione distrettuale antimafia. Non è una bella pagina, quella che vede protagonisti uomini in divisa in questa vicenda. Si va contro la deontologia professionale, essendo in possesso di uno strumento che la legge consente di usare per determinati fini, che sono molto ristretti. Se ci sono mele marce devono essere estirpate».













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