«Informazione sotto attacco da vent’anni Ma mai come ora» 

Oggi a Trento Paolo Borrometi, presidente di Articolo 21 minacciato dalla mafia e da cinque anni sotto scorta 



TRENTO. Una sua inchiesta contribuì a far sciogliere il Comune di Scicli, il palcoscenico, nella finzione televisiva, delle azioni del commissario Montalbano impersonato da Luca Zingaretti. Dalla mafia ha ricevuto minacce e subito attentati. Da cinque anni, è sotto scorta. Paolo Borrometi, siciliano - collaboratore di Tv2000 e dell’agenzia Agi, direttore della testa giornalistica online LaSpia - è presidente di Articolo 21, l’associazione di giornalisti, scrittori, registi e giuristi che promuove la libertà di manifestazione del pensiero secondo quanto scritto nella Costituzione. Oggi il giornalista sarà a Trento. Alle 12,45 parteciperà alla firma, in Provincia, di un protocollo tra la giunta di piazza Dante, Assostampa, il sindacato e l’ordine dei giornalisti per sostenere la formazione nelle scuole. Nel tardo pomeriggio, alle 17,45 insieme a Giuseppe Giulietti, presidente nazionale della Fnsi (il sindacato giornalisti) e a quello regionale Rocco Cerone, presenterà, alla libreria Ancora di via S. Croce, il suo libro, “Un morto ogni tanto”, pubblicato da Solferino, nel quale in un capitolo (“Con il benestare del boss, dal carcere”) racconta di un’inchiesta di qualche anno fa, poi archiviata, di cui riferì più volte anche questo giornale, che coinvolse il Gruppo Mezzacorona al tempo dell’acquisizione dei terreni vitivinicoli di Feudo Arancio, in Sicilia.

«L’informazione in Italia è sotto attacco mica da adesso, ma da quasi vent’anni - afferma - da quando Berlusconi, allora presidente del Consiglio, emise quello che è passato alla storia come l’editto bulgaro con tutto ciò che ne conseguì (l’allontanamento dalla Rai dei giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro e del comico Daniele Luttazzi, ndr). In seguito, la situazione è precipitata, specialmente negli ultimi anni, attraverso una scarsissima attenzione della politica, bipartisan, nei confronti dell’informazione, ad esempio sui temi del precariato e delle querele temerarie (o intimidatorie, ndr), fino agli insulti degli ultimi tempi. Il che fa capire che l’informazione, per essere tale, non deve piacere al potere politico per svolgere la sua funzione di “cane da guardia” della democrazia”. In sintesi, l’informazione deve essere molesta nei confronti di qualsiasi tipo di potere».

In questa situazione non è che ci sia anche qualche bella responsabilità anche da parte del sistema informativo?

Certo, enormi. Basti pensare a qualche titolo di giornale, penso a “Libero”, che inneggia contro il sud, le donne e chi professa una religione diversa dalla nostra. Ed è solo un esempio. Inaccettabile. Come altri.

Le fake news sono ormai all’ordine del giorno, i social ne abbondano.

Sono i cittadini che devono capire e comprendere che l’informazione seria e attenta si trova sulle testate giornalistiche piuttosto che sui social, che peraltro ricoprono un ruolo straordinario da non censurare, sia chiaro.

Oggi è a Trento anche per firmare un protocollo per la formazione nelle scuole. Perché?

Perché la scuola è fondamentale nel preparare i cittadini di oggi e di domani. Dobbiamo insegnare ai ragazzi ad uscire dall’ambito dei social per fruire dell’informazione vera e reale. Guardando alla mia esperienza personale, è poi necessario spiegare loro che le mafie sono entrate drammaticamente nella nostra vita quotidiana, farli riflettere, conoscere e comprendere, esserne consapevoli e avvertiti. Per combatterle.

Da cinque anni è sotto scorta. Come lei altri giornalisti e non solo. Ci si chiede come sia ancora possibile in un Paese democratico. E non è una domanda ingenua.

Lo Stato mi ha salvato la vita. Invito chi dice che la scorta è un privilegio a stare in questa situazione anche solo per un giorno. E’ cinque anni che non vado al mare come a teatro, e altro. Detto questo, l’Italia è un Paese strano, che risente della sua storia ma anche del disinteresse generale verso certi fenomeni, come quello mafioso. Tutti pronti a piangere quando c’è l’attentato ma incapaci, prima, di fare squadra, coalizzarsi e denunciare. (pa.pi.)













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