In Trentino una «scissione» senza leader

Lorandi: «Pronto ad aderire al nuovo partito». Dorigatti e Manica: «In Trentino il Pd si renda autonomo dal nazionale»


di Chiara Bert


TRENTO. Se scissione sarà nel Pd, come tutto lascia credere dopo lo strappo della minoranza domenica in assemblea, in Trentino rischia di essere una scissione al momento senza un leader, anche se i mal di pancia aumentano dentro un Pd che, usciti Bersani&co, si annuncia ancor più a trazione renziana.

In uscita c’è sicuramente l’ex segretario del Pd di Rovereto Fabiano Lorandi, esponente della corrente «Sinistra riformista» e reduce dall’incontro di sabato a Roma con i leader della minoranza Rossi, Emiliano e Speranza: «Mi sembrava che le proposte di un’assemblea programmatica e di un sostegno dichiarato al governo Gentiloni fossero condivisibili - spiega - sono rimasto sconcertato dall’arroganza di Renzi in assemblea, dalla sua mancanza di autocritica. Io sono entrato nella politica attiva con il Pd, mi stanno rubando un sogno. Ora nascerà un nuovo soggetto di sinistra, probabile ce io aderisca. Nel Pd di Renzi non mi ci riconosco più». Con Lorandi c’è un gruppo di roveretani (l’ex consigliera comunale Nives Merighi, la presidente dell’Anpi Mara Rossi) ma a mancare oggi è una figura provinciale di spicco. «Sono d’accordo con Dorigatti che ci saremmo parlati per fare qualche ragionamento una volta che fosse chiaro il quadro», spiega l’ex segretario. «A livello locale non mi pare un’eresia pensare di rimanere nel Pd trentino se si evolverà in autonomia dal nazionale, dando vita a un nuovo soggetto di centrosinistra, che tenga dentro la sinistra e si muova sulla linea dell’esperienza milanese di Pisapia».

Di un nuovo soggetto è tornato a parlare nei giorni scorsi proprio Bruno Dorigatti, bersaniano, il volto più riconosciuto della sinistra Dem trentina: «Dobbiamo sottrarci alle dinamiche nazionali», avverte, «e il modo per farlo è costruire un progetto largo, che tenga dentro anche l’Upt, con un collegamento con il nazionale ma che guardi all’Europa». Quanto al nuovo partito che potrebbe nascere nelle prossime ore, il presidente del consiglio provinciale non vuole arrendersi all’idea che la scissione si sia già consumata: «Non è ancora detto, domani (oggi, ndr) ci sarà la direzione, vedremo». Ma se le strade si dividessero, tra un partito a sinistra del Pd e il Pd di Renzi, alle politiche lei cosa sceglierebbe? «Io sono impegnato per l’unità, alle politiche vedremo. C’è il cuore, ma c’è anche la ragione. Certo quando vengono meno i motivi per stare insieme, uno se ne va. Renzi ha parlato di “rispetto” ma il rispetto dev’essere reciproco e in questi anni nei confronti della minoranza se n’è visto poco. Il referendum l’ha perso Renzi, non Bersani e Dorigatti».

Quanto il disagio sia forte nel Pd renziano lo dimostrano i no trentini al referendum costituzionale, dall’assessora regionale Violetta Plotegher al capogruppo comunale Vanni Scalfi, civatiano rimasto nel Pd, che confessa «sgomento» per quanto sta accadendo e auspica che «sia l’occasione per ripensare il Pd trentino e renderlo più autonomo dal nazionale». Agli antipodi da Renzi anche Andrea La Malfa, presidente dell’Arci chiamato da Italo Gilmozzi nella segreteria Pd. Antirenziano è anche il capogruppo provinciale Alessio Manica: «Io mi sento vicino alla sinistra Pd ma non ho condiviso il percorso che ha portato alla rottura. Mi preoccupa un congresso schiacciato sulla figura ingombrante del segretario uscente che è una delle concause di questa frattura, un leader che ha soffocato il partito». Ma il disagio non basta per andarsene: «Prima di Renzi per me viene il Pd, non ho nessuna intenzione di abbandonare una casa che ho contribuito a creare». Ma da una lacerazione drammatica per Manica può uscire un’opportunità, «accelerare la riflessione locale su un percorso di autonomia del Pd trentino dal nazionale»: «Io lo sostengo da anni, ci sono elettori di sinistra ma anche di centro e delle civiche che possono tornare a dialogare con noi, c’è un rapporto serio che si può costruire in primis con l’Upt». Un nuovo soggetto con nuovo nome e nuovo simbolo? «Verosimile che quella sia la conclusione, si può fare. Io da sindaco di Villa Lagarina avevo tre simboli (Margherita, Ds e Patt) dentro un unico contenitore».

Intanto, fuori dal Pd, la diaspora della sinistra è in atto da anni: ci sono i civatiani di Possibile, L’Altra Trento a sinistra, Sinistra Italiana appena battezzata a congresso sulle ceneri di Sel. «Probabile che alle elezioni si vada verso un’aggregazione anche con la minoranza che uscirà dal Pd, ma una linea politica comune non c’è», ammette un ex Dem come Andrea Pradi (Possibile).

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